La memoria dal cratere
Falcone di Nicola Sani all’Opera Festival 2022 della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento
Sono le 17:58 del 23 maggio 1992. Una tremenda esplosione prodotta da mille chili di tritolo presso lo svincolo di Capaci sull’autostrada fra Punta Raisi e Palermo distrugge cinque vite: quella di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. La Croma bianca blindata del magistrato si schianta contro la parete del cratere creato dall’esplosione e tutto intorno rottami e macerie.
È quella spaventosa immagine, realisticamente ricostruita dallo scenografo Gregorio Zurla sul palcoscenico del Teatro Sociale di Trento, ad accogliere gli spettatori di Falcone. Il tempo sospeso del volo, teatro musicale civile di Nicola Sani, prodotto dalla Fondazione Haydn di Trento e Bolzano nell’ambito di Opera Festival 2022, secondo titolo della rassegna dopo Silenzio/Silence di Anna Sowa e Martina Badiluzzi. Si tratta del terzo allestimento di questo lavoro in occasione del trentennale dell’assassinio del magistrato siciliano, dopo il debutto del lavoro nell'ottobre del 2007 al Teatro della Cavallerizza di Reggio Emilia e l’allestimento al Werkstatt della Staatsoper di Berlino nel 2017 nel venticinquesimo anniversario della strage di Capaci. È questo paesaggio spettrale nel quale i rottami della Croma bianca sono sospesi come in un tragico fotogramma bloccato di una vita mandata in frantumi, rievocata nell’abile libretto di Franco Ripa di Meana non con la puntuale precisione dello storico ma attraverso un mosaico di ritagli di giornale, documenti ufficiali, verbali giudiziari, ricordi di chi lo conobbe. Nei frammenti narrativi vengono evocate le tappe fondamentali di una parabola professionale ed esistenziale dal maxiprocesso di Palermo del 1986 con i suoi quasi 500 imputati alla mancata elezione a capo del pool antimafia con solo 10 voti a favore e 14 contrari nel Consiglio Superiore della Magistratura (che gli preferì Antonino Meli per la maggiore anzianità di servizio), ai corvi, ai veleni, all’ostilità di politici e di certa stampa, infiniti ostacoli alla sua ricerca di verità. E poi i segnali sinistri di un destino a lungo annunciato e in qualche misura atteso, specie quando in Falcone matura l’amara consapevolezza di essere sempre più solo e isolato dalle istituzioni: i 58 candelotti di esplosivo nel borsone del fallito attentato dell’Addaura nel giugno del 1989, e quel foglietto anonimo, quel pizzino che lo informa della morte imminente, che, puntuale, arriva una decina giorni dopo.
l riuscito allestimento curato da Stefano Simone Pintor complementa e anima quel flusso narrativo con immagini e situazioni emotivamente marcanti nello spazio fisso della scena illuminata magistralmente da Fiammetta Baldiserri e Virginio Levrio. Una scena che supera la quarta parete e penetra nella platea, quasi a creare un ponte fra quella vicenda e la coscienza degli spettatori. Dopo il Prologo con le immagini in bianco e nero del tragico, ultimo viaggio del magistrato, dal volo che lo porta da Ciampino a Punta Raisi e quindi alla corsa in autostrada verso la morte, segnata dagli schermi che virano in bianco e mostrano l’ora fatale (i video molto curati sono di Francesco Mori), si apre il flusso della memoria, il cui perno narrativo è Falcone, interpretato con sentita adesione dal basso Roberto Scandiuzzi. Attorno a lui, anima i frammenti di memoria delle 26 scene del lavoro la pletora di personaggi che hanno attraversato e talvolta intralciato il suo percorso esistenziale – amici, colleghi magistrati, giornalisti, mafiosi – cui danno voce e corpo i due altri bassi Gabriele Ribis e Salvatore Grigoli e gli attori Claudio Lobbia e Angelo Romagnoli. Uniche voci femminili sono quelle del coro (che è quello dell’Ensemble Vocale Continuum), invisibile, che come nei drammi antichi commenta e ammonisce sulla tragedia imminente.
Sul piano musicale, del complesso ed eterogeneo materiale musicale assemblato dal compositore tira le fila con il consueto rigore l’esperto direttore Marco Angius, attento soprattutto a restituire colori attraverso i 18 variegati strumenti dell’Orchestra Haydn, mancando invece il trattamento vocale quasi del tutto di varietà sia nella timbrica che nell’articolazione prosodica. Molto efficace anche l’elettronica, soprattutto nel tesissimo prologo, curata da Alvise Vidolin.
Qualche vuoto in sala alla seconda delle due recite in programma ma pubblico molto attento e generoso di applausi a tutti gli interpreti.
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