Il giovane Cherubini, prima di Parigi
Eccellente allestimento de Lo sposo di tre, e marito di nessuna nel nuovo auditorium del Teatro del Maggio per il ripescaggio di una partitura scritta per Venezia nel 1783
Un Luigi Cherubini proprio da riscoprire, questo Sposo di tre e marito di nessuna che è andato su finalmente (dopo due recite saltate causa positività Covid), questo venerdì, nel nuovo Auditorium del Teatro del Maggio ? Chissà. D'accordo, il compositore fiorentino aveva appena ventitré anni – che peraltro a quei tempi non erano poi così pochi – quando compose per il Teatro San Samuele di Venezia, nel 1783, questa partitura subito caduta nell'oblio, in cui non mancano le tracce di un genio in via di definizione (nella raffinata strumentazione e in altre invenzioni), ma in un certo senso vanno a vuoto, per effetto di quello che sembra una qualche incapacità di dare calore, sostanza teatrale e vero umorismo a una storia che per tre ore e passa gira a vuoto davvero, con i consueti meccanismi del “dramma giocoso” e simili, i congegni di equivoci, inganni, travestimenti, trappole a vari fini – amorosi, di ascesa sociale, i soliti, insomma - che nel libretto di Filippo Livigni appaiono, appunto, meri congegni, oltretutto mal congegnati, e con un pretenzioso contorno di stramberie e ammicchi che riescono tutto sommato peregrini, come il finto oracolo con una finta Sibilla. Il tutto con l'effetto di condannare al celibato il solito nobilastro mezzo idiota, Don Pistacchio, e destinare ad altri le tre ipotizzate spose, donna Lisetta, donna Rosa e la canterina Bettina. A giudicare da questo Sposo, diciamo pure che se Cherubini fosse rimasto impantanato nel dramma giocoso, allora tanto di moda in Italia, a Vienna, a Pietroburgo, c'è forse da temere che sarebbe riuscito inferiore, nello sfruttamento delle potenzialità del genere, non solo a Mozart – vabbè – ma anche a Paisiello e Cimarosa e forse addirittura a Sarti (il suo maestro), Anfossi e ad altri che lo praticavano, ci sembra, con più callido mestiere. Per fortuna andò a Parigi nel 1788, giusto alla vigilia del sisma storico che sappiamo, e forse fu in questo sisma che Cherubini trovò se stesso, il Cherubini di Lodoiska, Medea e tutto quello che verrà, il compositore che Beethoven riteneva secondo solo a se stesso.
Ma non c'è stato esodo del pubblico fra prima e seconda parte, e anzi l'esecuzione è stata vivacemente applaudita, durante e dopo. Merito della qualità dell'allestimento e dell'esecuzione, con il podio dominato con calore e sicurezza da Diego Fasolis, e un cast più che soddisfacente, brillante vocalmente e assai disinvolto sulla scena, in cui spiccava per smaltate colorature la Lisetta di Sara Blanch, ma davvero di ottimo livello d'insieme, con Arianna Vendittelli, Rosa, Benedetta Torre, Bettina, Ruzil Gatin, don Martino fratello di Lisetta, Fabio Capitanucci, don Pistacchio, Giulio Mastrototaro, Folletto, don Simone, Alessio Arduini. Deliziosa la messinscena con la regìa di Cesare Lievi, scene e costumi di Luigi Perego e luci di Luca Saccomandi, con coutures e fogge fra anni Trenta e Christian Dior di spiritosa eleganza, azioni sceniche argute e ben organizzate, il tutto in una cornice astratta-agreste in verde e blu, caratterizzata dal ruotare di grandi cornici a evocare gli spazi diversi dell'azione, e i figuranti in tute mimetiche pure verde e blu, i villici, e vilipesi assai, di così strampalata nobiltà. Molti applausi e repliche i giorni 6 alle 15,30 e 8 alle 20.
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