Gardiner e Alaimo, che bel Falstaff !
Ottimo successo a Firenze per il Falstaff in scena al Teatro del Maggio
Un direttore come John Eliot Gardiner, nato antichista, e fra i più grandi, alle prese con l’ultimo capolavoro di Verdi, fa notizia. O meglio non la fa più, visto l’allargamento di interessi che persegue da anni il direttore inglese, che il pubblico toscano conosceva finora soprattutto per le splendide esecuzioni di Monteverdi, Bach, Haendel e dintorni al festival Anima Mundi di Pisa di cui è stato anche direttore artistico. Ma proprio a Pisa l’avevamo sentito nelle sinfonie di Brahms, e adesso dirige Janacek e Stravinskij oltre che Berlioz e Rossini, in un allargamento del repertorio del resto inevitabile in un direttore di tanto talento, e tanta capacità di dominare, con il suo gesto apparentemente così etereo, partiture a grandi masse e a grandi e complessi intrecci. Un talento confermatosi a dispetto di qualche squilibrio iniziale fra palcoscenico e buca (che del resto, come più volte abbiamo scritto, non si risolverà senza qualche aggiustamento strutturale), ma che poi Gardiner ha ripreso saldamente in mano, lasciando l’impronta della sua consueta perfezione nella definizione precisa e arguta dei fitti reticoli neomozartiani, dell’interagire sottile fra archi e fiati, fra orchestra e voci, insomma di tutto ciò che caratterizza questo splendido ultimo parto verdiano, compresa la famosa fuga finale che non avevamo mai sentito così nitida e perfettamente equilibrata, e che poi alla fine, visto che il pubblico non la smetteva di applaudire, Gardiner ha addirittura voluto bissare.
Molto piacevole la messinscena, firmata da Sven-Eric Bechtolf, regìa, Julian Crouch, scene, Kevin Pollard, costumi, Alex Brok, luci, Josh Higgason, video, molto inglese, fra una gestualità volutamente all’antica, come fra Shakespeare e commedia dell’arte, e qualcosa di delicato e amabile che sembrava uscire da un pop up book per bambini, con quel Tamigi animato sullo sfondo, quelle scene mobili di legno traforato, i fantasiosissimi costumi del coro dei finti spiritelli nell’ultimo quadro, la magica féerie con cui Verdi si congeda dal teatro.
Nella galleria dei Falstaff fiorentini, lontani o vicini nel tempo, da Bruson a Maestri passando per Raimondi, il Falstaff di Nicola Alaimo si ritaglia un posto proprio, confermando alla grande le naturali, magnifiche doti di comicità e grande prestanza vocale che aveva evidenziato qualche mese fa, su questo palcoscenico, come fra Melitone nella Forza del Destino, in un approccio fresco e molto comunicativo, che forse in futuro si approfondirà di altre sfumature, ma per ora va proprio bene così, come dimostra l’autentico trionfo decretatogli da un pubblico come questo, non così facile ad elargirne. Da questo confronto esce però peggio il resto del cast, fra voci importanti ma fuori parte, ruvidezze, o al contrario voci piccine e stimbrate, e nel complesso abbiamo apprezzato di più i caratteristi Cajus, Bardolfo e Pistola (Christian Collia, Antonio Garés e Gianluca Buratto), a cui aggiungiamo la simpaticissima Meg di Caterina Piva, rispetto ai ruoli principali affidati a Simone Piazzola, Ford, Matthew Swensen, Fenton, Aylin Pérez, Alice, Francesca Boncompagni, Nannetta, Sara Mingardo, Quickly. Ma alla fine il successo è stato grandissimo, esteso anche all’orchestra, ai figuranti e al coro istruito da Lorenzo Fratini.
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