Un Dalibor fra storia e favola
L’opera di Smetana in una recente produzione recente del Teatro Nazionale di Praga è visibile in streaming grazie a Arte in italiano
Se il repertorio operistico ceco viene pochissimo eseguito al di fuori dei confini salvo rarissime eccezioni, Dalibor non è mai stato troppo popolare nemmeno in patria. Ha interrotto infatti un’assenza durata vent’anni la produzione dell’opera di Bedřich Smetana andata in scena nel giugno del 2019 al Teatro Nazionale di Praga, che ne accolse la prima esecuzione nel 1868 con la direzione dello stesso compositore, e visibile in streaming nel sito di Arte in italiano.
Il soggetto del libretto di Josef Wenzig affonda le radici in un episodio della storia del paese, divenuto popolare nell’Ottocento grazie al lavoro dello storico František Palacký e alla sua Storia della Nazione Ceca, riprendendo cronache del tardo Quattrocento sulla vicenda del cavaliere Dalibor di Kozojed e la rivolta di Ploskovice contro il re boemo Vladislav II. Nonostante la definizione di “Fidelio ceco”, dell’opera beethoveniana questo Dalibor ha ben poco, tranne il travestimento in abiti maschili della protagonista femminile, Milada, per penetrare, ingannando l’ingenuo carceriere Beneš, nel carcere dov’è rinchiuso Dalibor a causa dell’omicidio del burgravio di Ploskovice, fratello della stessa Milada. Non è comunque l’amor coniugale a muovere la vicenda, come per Leonore e Florestan, ma il fulmineo innamoramento di Milada, da grande accusatrice del cavaliere a guida dei sediziosi pro-Dalibor, nonostante Dalibor mostri più affetto all’amico musico Zdeněk, fatto giustiziare dal burgravio. Quando la sentenza di morte per Dalibor è decisa, Milada guida i rivoltosi ma le forze di re Vladislav hanno la meglio. Persa anche la donna dopo l’adorato amico, Dalibor sacrifica la vita per riunirsi a entrambi in cielo.
Piuttosto contestata alla prima, la produzione di Jiří Nekvasil, regista lirico fra i più noti nella Repubblica Ceca, si muove incerta fra storia e favola ma non brilla per particolare originalità. Anzi, sa molto di vecchio per l’approssimativa direzione attorale e una generale staticità dell’azione scenica, che investe specialmente il coro, immobile nella gran parte dell’opera. Non aiutano molto nemmeno troppo i costumi di Zuzana Bambušek Krejzková, ispirati a un Medioevo reinventato con gran dispendio di ecopelle, ma nel complesso modesti quando non brutti, mentre la scena spoglia di Daniel Dvořák ha il pregio della funzionalità senza scivoloni evidenti su un kitsch medievale di cartapesta. In una produzione che non brilla per idee, non mancano comunque alcune stravaganze. Alcune riuscite, come il drappello di cavalieri con armature grottesche, che sembrano venute da un futuro distopico, fra i pochi soggetti in movimento sul palcoscenico (e la cui funzione è quella di movimentare le scene). Altre meno, come quelle che denunciano un cefrto accanimento su re Vladislav, fatto scendere dall’alto su un altissimo trono dorato nel primo atto e colto nell’intimità di una abluzione seguita da massaggio di odalische nella scena del verdetto dei giudici, che il sovrano accoglie praticamente nudo e avvolto nella bandiera rossa con i leoni di Boemia. Felice, anche se già vista in decine di produzioni, anche l’idea di mostrare sulla scena l’arpa solista che accompagna l’ingresso di Milada nel primo atto e il violino per il lungo assolo che precede la grande aria “Nebyl to on zas? Nebyl to zas Zdeněk?” (“Non era forse lui? Non era di nuovo Zdenek?”) di un sognante Dalibor nel secondo atto.
Sul piano musicale, se la familiarità con questo repertorio delle maestranze del Teatro Nazionale, solisti dell’ensemble compreso, si sente tutta, vero è che l’impressione è che l’esecuzione manchi talvolta di slancio e si accontenti di un livello, seppur elevato, di affidabile professionalità. È vero soprattutto per la direzione musicale di Jaroslav Kyzlinek, piuttosto uniforme e con pochi slanci nonostante quella di Smetana sia una partitura dai contrasti accesi e febbricitante romanticismo. Dalibor resta comunque soprattutto un’opera di grandi voci e in questo senso la produzione praghese non delude a cominciare dalla coppia dei protagonisti, Michal Lehotsky, che di Dalibor fa risaltare soprattutto il lato eroico, e Dana Buresová, una Milada di forte temperamento drammatico. Esce sulla distanza Adam Plachetkacome Vladislav, al quale giustamente risparmia un colore eccessivamente torvo. Efficaci nei rispettivi ruoli Jiří Brückler, Budivoj particolarmente fosco, Jiří Sulženko, un bonario carceriere Beneš, e Jaroslav Březina, baldanzoso Vítek. Su tutti però si impone sul piano della musicalità e del luminoso colore vocale la giovane Alžběta Poláčková nel ruolo dell’orfanella Jitka risolta con delicato lirismo.
Dopo sole due stagioni, questo Dalibor è già scomparsa dal cartellone del Teatro Nazionale. Chissà che l’imminente bicentenario della nascita di Smetana compositore nel 2024 non la riporti in scena e magari con altri titoli ancora meno noti del compositore. Varrebbe sicuramente un viaggio nella capitale ceca, sempre generosissima di occasioni musicali.
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