Un’isola popolata di sentimenti
A Ravenna la stagione lirica è stata inaugurata da L’isola disabitata di Franz Joseph Haydn
È tutto un pullulare di sentimenti questa lettura de L’isola disabitata di Franz Joseph Haydn, titolo scelto per inaugurare la stagione 2021-2022 del teatro Alighieri di Ravenna grazie a un nuovo allestimento dello stesso teatro realizzato in coproduzione con Opéra de Dijon e in collaborazione con Fanny & Alexander.
Sentimenti, dunque, che si sciolgono negli affetti i quali, declinati in vario modo nel corso della narrazione, accompagnano tutto lo svolgersi di una vicenda che trova la propria genesi negli scarti interpretativi proposti nella Sinfonia iniziale, momento strumentale ben riuscito e oasi espressivo-strumentale più efficace dell’intera serata. Protagonista un’orchestra Dolce Concento Ensemble che, pur nella funzionale coerenza complessiva – sostenuta dal generoso impegno nella direzione di Nicola Valentini – ha sofferto in tenuta generale specie nell’ultima parte della rappresentazione, almeno in occasione della serata d’esordio che abbiamo seguito.
Materia musicale e materia narrativa, si diceva, che in questa occasione si fondono in un’opera che rappresenta una tappa che Haydn ha segnato nel suo percorso di confronto con quella materia viva e dinamica rappresentata dal teatro musicale attorno al 1779, anno di composizione di questa partitura. Nel mezzo del guado rappresentato dalla tradizione incarnata dall’opera seria italiana da un lato, e dalle tensioni riformiste gluckiane dall’altro, il mestiere di Haydn ha saputo raccogliere in queste pagine una materia musicale se non rivoluzionaria, dotata tuttavia di una significativa pregnanza espressiva nella cui misura si possono rintracciare passi drammaturgici certamente apprezzabili. Elementi capaci di valorizzare la vicenda narrativamente pressoché immobile – Gernando rapito dai pirati è costretto ad abbandonare Costanza e la giovane Silvia su un’isola deserta, per poi ritrovarle anni dopo accompagnato dall’amico Enrico – del testo scritto da Metastasio a Vienna nel 1752 e messo in musica in precedenza, tra l’altro, anche da Jommelli e da Traetta. Tutto questo a prescindere alla tiepida accoglienza ricevuta sia al debutto dell’opera presentata a Eisenstadt nel dicembre 1779, sia alla ripresa moderna, avvenuta all’Opera di Vienna nel 1909.
Nella presente lettura, al tempo stesso attualizzante e, in qualche modo, atemporale, il lavoro di Haydn ha trovato quindi una dimensione coerente in quella sorta di leggerezza restituita da un impianto scenico che Luigi De Angelis – regia, scene, luci e video – ha immaginato coniugando videoproiezioni – un poco didascaliche quelle dedicate alla città di Ravenna, più evocative quelle di segno naturalistico – con essenziali elementi scenici: un divano con pouf, manichini, una pietra che – simbolicamente e in maniera un poco ridondante – diventa sempre più grande nel corso della narrazione.
Vestiti dai costumi di Chiara Lagani – che ha curato anche la drammaturgia – non più che funzionali e un poco curiosi nel giuoco se vogliamo simbolico rappresentato dall’evoluzione delle calze “animalier” del personaggio di Silvia, i quattro protagonisti si sono ritagliati con bella freschezza i propri momenti di protagonismo. Ecco dunque la Costanza nutrita di misura ed efficace decoro di Giuseppina Bridelli, la Silvia convincente e vivace – quasi a incarnare una sorta di declinazione femminile del Cherubino mozartiano – di Anna Maria Sarra, il più che funzionale Gernando di Krystian Adam e l’accoratamente corretto Enrico di Christian Senn.
Quattro personaggi tutti protagonisti di una vicenda che, dall’abbandono iniziale al ritrovamento conclusivo, ha saputo comunque coinvolgere positivamente il pubblico presente al teatro Alighieri, a giudicare dagli applausi che hanno salutato questa azione teatrale in due parti, meritoriamente proposta nella sua dimensione di atto unico.
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