Le novità della stagione 2021-2022 dei Berliner Philharmoniker

Kirill Petrenko propone molti compositori - recenti o meno recenti - da riscoprire. Limitata invece la presenza dei grandi autori del sinfonismo classico e romantico

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Kirill Petrenko (Foto Monika Rittershaus)
Kirill Petrenko

La stagione 2021-2022 dei Berliner Philharmoniker sarà in pratica la prima di Kirill Petrenko, che ne è direttore principale e artistico dall’autunno del 2019 ma ha visto le prime due stagioni falcidiate dal Covid-19. Ci si può stupire che in questa sua prima effettiva stagione non diriga una sola nota di Beethoven né dia molto spazio al grande repertorio sinfonico austro-tedesco in generale: una sinfonia ciascuno per Schubert, Mendelssohn e Brahms e poco altro.

Al loro posto metterà sul leggio molti autori della prima metà del Novecento, alcuni dei quali oggi sono semidimenticati - ingiustamente secondo Petrenko - e sono finiti ai margini repertorio: Alexander Zemlinsky, Erich Wolfgang Korngold, Leone Sinigaglia, Erwin Schulhoff, Paul Hindemith e Karl Amadeus Hartmann. Non è soltanto una questione di gusti personali, ma rientra nel progetto di far conoscere quei compositori che furono internati e uccisi nei campi di concentramento nazisti o si salvarono con l’esilio. Inoltre alcuni compositori vissuti nella seconda metà del Novecento, che quindi non ebbero a che fare col nazismo, come Bernd Alois Zimmermann e Witold Lutoslawski, che semmai ebbe a soffrire dallo stalinismo. Ma soprattutto avrà particolare spazio Josef Suk, il compositore ceco vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, ultimo esponente della scuola nazionale ceca, che Petrenko considera “non solo uno dei più importanti compositori cechi, ma uno dei veri grandi compositori del tardo romanticismo”.

Nel sito dei Berliner queste scelte vengono da una parte esibite come una scelta di cui essere orgogliosi, ma allo stesso tempo si cerca in qualche maniera di giustificarsi col pubblico più tradizionalista: “Il repertorio dei Berliner Philharmoniker è tanto ampio quanto si può immaginare per una grande orchestra sinfonica. Questa varietà si riflette nei concerti con il direttore principale Kirill Petrenko, in cui sono evidenti anche le sue preferenze personali come direttore artistico. C’è la più recente musica contemporanea, ma anche lo zoccolo duro del repertorio classico e romantico dell'orchestra. Si possono trovare compositori russi e cechi insieme alla "generazione perduta" del primo terzo del XX secolo, le cui opere meritano di essere riscoperte”.

Per l’inaugurazione della stagione, il 27 agosto, Petrenko ha scelto un programma di quelli che ci si aspetta dai Berliner (Weber, Hindemith, Schubert) e subito dopo lo porta in tournée ai festival di Salisburgo e Lucerna, insieme ad un altro concerto molto meno tradizionale, il cui pezzo forte è un lavoro di Suk, il lungo poema sinfonico A Summer’ Tale, che nei giorni successivi sarà replicato a Parigi. Un altro poema sinfonico di Suk, The Ripening, è in programma a Berlino e sarà anche portato in tournée a Vienna. Petrenko evidentemente crede in questo autore ed è ben deciso a farlo riscoprire con determinazione e coraggio ammirevoli (lo metteva in programma anche quando era Generalmusikdirektor della Komische Oper di Berlino).

Praticamente tutti i concerti che Petrenko dirigerà nella sala della Philharmonie hanno programmi tutt’altro che banali, del tipo Hartmann-Stravinsky o Korngold-Bruch-Strauss-Kreisler-Ravel o Schulhoff-Sinigaglia-Zemlinsky. A questo si aggiungano le tre prime assolute di Olga Neuwirth, Erkki-Sven Tüür e Gerald Barry e le prime esecuzioni in Germania (ma queste nuove composizioni non saranno dirette da Petrenko). Il risultato è una stagione ben diversa dalla formula fatta di grandi interpreti (o comunque conosciuti e amati dal pubblico locale) e capolavori del repertorio più frequentato, che viene applicata dalle (poche) orchestre sinfoniche italiane e rende ogni nuova stagione simile alle precedenti.

 Quel che Petrenko può fare a Berlino in Italia viene considerato impossibile, perché si innescherebbe un circolo vizioso tra gli spettatori, che certamente non farebbero ressa al botteghino, e i sovrintendenti, che sarebbero terrorizzati dai magri incassi, costretti come sono a tener sempre d’occhio i conti economici. Sicuramente sarebbe necessario - non per caso Petrenko è stato preceduto sul podio dei Berliner da Claudio Abbado e Simon Rattle - un lungo, coraggioso, attento, intelligente lavoro per rinnovare il pubblico, che non significa necessariamente eliminare i vecchi abbonati, ma far loro capire che c’è tanta musica sconosciuta che aspetta di essere scoperta e apprezzata, senza che questo debba essere considerato un oltraggio a grandi autori come Beethoven. Così si conquisterebbe un pubblico nuovo - che in una grande città sicuramente esiste - e più ampio e aperto alle novità degli habitués, sempre gli stessi da decenni e ormai canuti.

Tuttavia anche a Berlino serpeggia qualche malumore. Troppi autori “strani”. Troppa musica russa in generale e soprattutto troppi concerti con musiche esclusivamente russe. Tra l’altro ben tre opere di Čajkovskij (Mazeppa, Iolanta e Dama di picche) tra Berlino e il festival di Baden-Baden, dove i Berliner sono l’orchestra residente. Ma nessuno può ragionevolmente pensare che Petrenko sottovaluti il classicismo, il romanticismo e il tardoromanticismo austro-tedeschi, che sono stati i pilastri delle due precedenti stagioni da lui programmate con i Berliner, sebbene poi molti di quei concerti siano stati annullati a causa della pandemia.

Nella prossima stagione anche i concerti non diretti da Petrenko presentano programmi piuttosto particolari: non c’è nulla di strano nel mettere in programma Rimsky-Korsakov, Rachmaninoff e Chausson, ma certamente non è frequente ascoltarli tutti e tre insieme nello stesso concerto, come avviene in quello diretto da Tugan Sokhiev. Lo stesso può dirsi del programma Ligeti - Prokof’ev -  Rimsky-Korsakov diretto da Gustavo Gimeno.

Chi vuole programmi più “normali” può comunque rivolgersi ai veterani, come Herbert Blomstedt (Sinfonia n. 5  di Bruckner), Zubin Mehta (Sinfonia n. 3  di Mahler), Daniel Barenboim (due concerti dedicati a Verdi, con i Quattro pezzi sacri  e il Requiem) e John Eliot Gardiner (Brahms e Mendelssohn). Mozart sarà presente - in compagnia di Haydn - soltanto nel concerto diretto da Adam Fischer, mentre di Beethoven sono due le composizioni in programma (due anche quelle di Sinigaglia) e per di più relativamente brevi, l’ouverture Coriolano e la Sinfonia n. 8, dirette rispettivamente da Antonello Manacorda e Paavo Järvi.

Il livello dei direttori è elevato, come ci si aspetta dai Berliner, ma non si dà spazio soltanto agli interpreti già noti e affermati, come dimostrano i debutti di Gustavo Gimeno, Antonello Manacorda e John Storgårds, più John Williams, che è un caso a parte, poiché chiaramente è stato invitato non tanto come direttore quanto come compositore che dirige le sue stesse musiche. Non si punta troppo nemmeno sul richiamo che i grandi solisti esercitano sul pubblico, anche se naturalmente alcuni, quando veramente necessari, ce ne sono, come le violiniste Patricia Kopatchinskaja (artista in residence) e Janine Jansen e i pianisti András Schiff e Daniil Trifonov.

 

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