Dal carcere di Parsifal

Il russo Kirill Serebrennikov allestisce l’opera di Wagner alla Staatsoper di Vienna

Parsifal
Parsifal
Recensione
classica
Vienna, Staatsoper
Parsifal
18 Aprile 2021

Un maturo Parsifal rivive la propria giovinezza attraverso i ricordi. Raccontando la sua vicenda, per Parsifal il tempo diventa spazio, nel quale incontra il suo io di prima: era un detenuto senza nome a Monsalvat, un centro di detenzione per criminali. È la trama dell’ultima opera di Richard Wagner secondo il russo Kirill Serebrennikov, che segna il suo debutto come regista, scenografo e costumista all’Opera di Stato di Vienna. Tuttora agli arresti domiciliari per una presunta frode ai danni del Ministero della Cultura della Federazione russa, il regista Serebrennikov si è sempre professato innocente ed è più che un semplice sospetto che si tratti dell’ennesimo attacco a una voce dissidente nella Russia putiniana. Da lungo tempo, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, molti intellettuali sono mobilitati a suo sostegno e non sono stati pochi i teatri lirici da Amburgo a Stoccarda, da Zurigo a Berlino, che hanno affidato a Serebrennikov produzioni, dirette a distanza dal confino moscovita. Alla lista si aggiunge ora anche Vienna, che, dopo qualche sospensione per via di focolai di Covid fra le maestranze coinvolte nelle prove, ha finalmente tenuto a battesimo questo suo nuovo Parsifal, presentato in streaming attraverso la piattaforma Arte concert.

Nonostante una certa radicalità nell’impostazione drammaturgica dell’opera wagneriana, non si tratta di una lettura in chiave politica ma di una vera e propria riscrittura che ha un taglio decisamente cinematografico e una certa coerenza, per molti versi accattivante, anche se certamente destinata a scontentare l’ala più conservatrice delle platee wagneriane, ammesso che dopo decenni di operazioni di questo tipo ci possa essere ancora spazio per le sorprese. Dunque niente cavalieri del Sacro Graal, niente cerimoniali religiosi né castelli incantati né tantomeno esotismi. La scena è quella di una prigione di massima sicurezza dove trionfa la corruzione e gli atti di violenza fra detenuti. Si lotta per la sopravvivenza e la stessa idea del mondo di fuori è distorta e filtrata attraverso la dura esperienza del carcere. La religione stessa è vissuta in maniera del tutto personale e ridotta a simboli per lo più tatuati sulla pelle dei detenuti. Amfortas si autoinfligge punizioni corporali vittima di un tremendo senso di colpa o inadeguatezza nei confronti del padre Titurel. Il sacro cigno che Parsifal uccide è il “cigno bianco”, un giovane detenuto albino efebico, che tenta una avance nelle docce e viene sgozzato dal giovane Parsifal con una lametta nascosta in bocca. Come un’autentica “dark lady”, Kundry è una reporter attratta soprattutto dalla fisicità animalesca dei corpi dei detenuti e del giovane Parsifal in particolare. Con il pretesto di una photosession nella sede della rivista “Schloss” (Castello) diretta dal sinistro Klingsor, alla quale la giornalista è totalmente asservita, Kundry cerca di sedurre Parsifal dopo averne vinto la resistenza evocando la figura della madre morta di crepacuore (informazioni carpite dalla giornalista da un fascicolo giudiziario). Parsifal si ribella e Kundry gli punta la pistola salvo rivolgerla verso Klingsor e farlo fuori freddamente crivellandolo di colpi. Lì finisce il ricordo del Parsifal maturo, che rivive quegli eventi come uno spettatore in un teatro e che, a distanza di anni, ritrova quella stessa comunità ormai in totale sbando sulle rovine di quello che un tempo fu il carcere di Montserrat. Completata la propria formazione di uomo, Parsifal riscatta il dolore di Amfortas che si riunisce finalmente a una Kundry invecchiata e completamente svuotata e libera quella comunità riaprendo le porte verso il mondo vero.

Questa è la storia riscritta da Serebrennikov, che può contare su un gruppo di interpreti davvero eccellenti e completamente calati nello script. E, per una volta, non sembra gratuita la scelta a una impressionante cinquina di stelle indiscusse del firmamento lirico di oggi. Il Parsifal maturo (e cantante) è Jonas Kaufmann che ritrova finalmente lo smalto delle sue prove migliori con una interpretazione certamente accattivante sul piano scenico ma che anche su quello vocale non delude nel suo equilibrio ideale fra la fragilità del personaggio in divenire e la radiosa forza dell’eroe. Partner ideale è Elīna Garanča, al debutto nel ruolo di Kundry, al quale regala tutta la carica seduttiva dell’attrice consumata e di un colore vocale di morbida sinuosità. L’Amfortas di Ludovic Tézier trasmette dolore e sofferenza autentiche, il Gurnemanz di Georg Zeppenfeld è reso con una certa insolitamente giovanile baldanza, mentre di Klingsor Wolfgang Koch rende con penetrante maestria l’ambigua perversione dell’aguzzino. Senza smagliature anche il resto della nutrita locandina, in cui si distingue anche Nikolay Sidorenko, che presta il corpo al Parsifal giovane e dannato. Di grande spessore anche la prova del Coro dell’Opera di Stato istruito da Thomas Lang.

La colonna sonora di questo dramma carcerario di condanna e redenzione è assicurata dall’Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna capace di un suono pieno e luminoso. Al suo primo appuntamento di rilievo come direttore musicale del teatro, Philippe Jordan incassa un risultato importante con una dimostrazione di grande vigore direttoriale ed eccellente tenuta drammatica.

Da notare l’accurata regia televisiva di Michael Bayer, che integra in maniera efficace le riprese del palcoscenico con le immagini in bianco e nero di video e foto di Aleksei Fokin e Yurii Karih, che accompagnano l’azione su tre grandi schermi sovrastanti la scena. Particolarmente accurata anche la ripresa sonora.

 

 

 

 

 

 

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