I Puritani del belcanto
A Roma torna dopo oltre trent’anni di assenza ma ancora senza pubblico l’ultima opera di Vincenzo Bellini con Jessica Pratt e Lawrence Brownlee protagonisti e la direzione di Roberto Abbado
Al Costanzi torna l’opera senza il pubblico. Se in occasione del recente Barbiere di Siviglia per ovviare alle limitazioni del momento a Roma si erano inventate “nuove brillantissime soluzioni”, come notava Mariani su queste pagine, non è stato così per I puritani presentato in forma di concerto. Coristi a parte, distribuiti nella sala vuota fra platea e palchi, lo spettacolo segue la liturgia classica con gli orchestrali sistemati sul palcoscenico e opportunamente distanziati, e consueto via vai dei solisti allineati sul proscenio. Tralasciando le ormai abituali considerazioni sull’assenza di pubblico in sala, che naturalmente depotenzia la tensione degli interpreti (ma è diverso con le registrazioni in studio?), più interessante sarebbe interrogarsi se non esistano soluzioni mediali alternative e magari più vitali rispetto alla semplice diffusione di immagini e suoni soprattutto di un formato privo della dimensione scenica dello spettacolo d’opera. Sia come sia, benché lontani dai quasi 700 mila spettatori del Barbiere ottenuti grazie alla trasmissione televisiva, questi Puritani hanno comunque raccolto quasi 22 mila visualizzazioni nella piattaforma YouTube scelta dall’Opera di Roma per la diffusione dello spettacolo. Numeri evidentemente ben superiori rispetto a quelli che una sala anche capiente come quella del Costanzi come di qualsiasi altra sala d’opera possano raggiungere in un normale ciclo di recite.
Per venire alla produzione più recente dell’Opera di Roma, questi Puritani arrivano esattamente dopo 31 anni di assenza. L’ultima opera di Vincenzo Bellini del resto non è un titolo frequentissimo nelle stagioni del teatro della capitale, che comunque vanta presenze importanti nel ruolo di Elvira, da Margherita Carosio, Maria Callas, Virginia Zeani fino a Mirella Freni, ma anche in quello di Arturo da Giacomo Lauri Volpi, Giuseppe di Stefano, Gianni Raimondi fino a Luciano Pavarotti. L’ultima produzione del 1990 vedeva protagonisti Mariella Devia e Chris Merritt, dunque due interpreti a forte vocazione rossiniana che marcava una certa discontinuità con le consolidate consuetudini soprattutto nel dopoguerra e guardava piuttosto alle origini belcantiste dei due ruoli, creati a Parigi da Giulia Grisi e Giovanni Battista Rubini. Una linea vocale confermata anche in questa ultima edizione, che vedeva impegnati due fuoriclasse del belcanto di oggi come Jessica Pratt e Lawrence Brownlee, entrambi protagonisti di prove impeccabili per la grande padronanza tecnica grazie alla quale superavano con disinvoltura i non pochi scogli dei rispettivi ruoli. Se a Brownlee la scintillante prova di forza andava, nel complesso, a scapito di un fraseggio piuttosto monotono, Jessica Pratt combinava al virtuosismo vocale una seducente luminosità di timbro e una spiccata espressività, sfoggiate soprattutto nella celebre scena della pazzia di Elvira “Qui la voce sua soave … Vien, diletto, è in ciel la luna” resa con grande varietà di accenti. All’insegna della nobiltà gli accenti infusi a Giorgio Valton dal basso Nicola Ulivieri e soprattutto a Riccardo Forth dal baritono Franco Vassallo, da elogiare per la vigorosa teatralità che riesce a esprimere. Nei ruoli minori, di rilievo il Valton di Roberto Lorenzi di incisiva presenza vocale e pertinenti le prove di Irene Savignano come Enrichetta e Rodrigo Ortiz come Bruno Roberton, entrambi nel programma “Fabbrica” per giovani artisti lirici dell’Opera di Roma.
Il direttore Roberto Abbado firma una prova molto riuscita per densità drammatica, ricchezza di colori orchestrali e intensa musicalità, che ha i suoi momenti più riusciti nelle grandi scene corali nonostante la disposizione dei complessi sia tutt’altro che facile con il coro alle spalle e di sostanziale equilibrio nei volumi sonori, almeno secondo quanto si percepisce dalla ripresa audio. Un risultato condiviso con l’ottima prova dell’Orchestra e soprattutto del Coro del Teatro dell’Opera preparato da Roberto Gabbiani.
Anche questa volta, purtroppo, il finale festoso si conclude nel silenzio.
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