Le musiche del Goethe veneziano
Al Teatro La Fenice Gondellieder, diario veneziano dello scrittore con le canzoni da battello di Johann Adolf Hasse
«Così stava dunque scritto nel libro del destino, alla mia prima pagina, che avrei visto Venezia per la prima volta nel 1786 la sera del 28 settembre, alle cinque secondo il nostro orologio, entrando nelle lagune dalla Brenta e che, poco dopo, avrei potuto accedere a questa meravigliosa città insulare, a questa Repubblica di castori, e visitarla». Così Goethe ricordava l’arrivo a Venezia nelle pagine del suo diario di viaggio di Italienische Reise.
Nella città Goethe soggiorna due settimane, durante le quali subisce il fascino di una città espressione di una sfida vinta (allora) dall’uomo su un ambiente ostile: «Tutto ciò che mi circonda è degno di nota, una grande opera di forza umana assisa, un magnifico monumento non già di un singolo sovrano, bensì d’un popolo intero». Non è solo l’arte che Goethe ammira della città, ma anche la sua peculiare natura acquatica e la caparbia operosità dei suoi abitanti nella lotta per conservare un difficile equilibrio ambientale: «Se ora Venezia esiste ed esistono le sue isole, i suoi canali, che intersecano le paludi e sono percorsi anche nei periodi di marea, questo si deve all’impegno e alla diligenza dell’uomo; e questo impegno e diligenza devono conservarla». Anche se non manca di stigmatizzare la scarsa attenzione all’igiene da parte dei suoi abitanti: «se solo tenessero pulita la loro città, ciò che sarebbe tanto necessario quanto facile e veramente di grande importanza per quanto ne può conseguire nei secoli a venire».
Viaggiatore attento, Goethe assiste a una rappresentazione de Le baruffe chiozzotte al Teatro di San Luca di cui loda l’autore «che da un nonnulla ha procurato alla sua gente il più spassoso dei divertimenti», ma partecipa da spettatore curioso anche a processo pubblico di cui coglie l’irresistibile e comica teatralità. C’è anche molta musica, ovviamente. Alla Chiesa dei Mendicanti rimane incantato dalla voce del contralto in un oratorio ma se la prende con quel maledetto maestro di cappella che batte rumorosamente il tempo con un rotolo di note contro la grata. E naturalmente non si perde il canto dei gondolieri «che intonano il Tasso e l’Ariosto su proprie melodie» e che per lui intonano una melodia che è «una media via fra il corale e il recitativo» e che «a seconda del contenuto del verso, giovandosi di una sorta di declamazione, ne mutano il tempo e la misura».
Al Teatro La Fenice quella Venezia antica vista attraverso il diario di un viaggiatore di eccezione è diventata lo spunto per Gondellieder di Diego Mantoan, ossia Goethe e le canzoni da battello, serata unica di letture delle cronache minime goethiane nella traduzione italiana di Nevia Capello, cui Ottavia Piccolo presta la voce e l’estro della commediante minuziosa per dare vita a quei piccoli e preziosi ceselli di vita quotidiana intagliati dalla penna dello scrittore.
La colonna sonora è quella della cospicua produzione di musiche da battello, in questo caso scelte fra quelle della firma illustre di Johann Adolf Hasse, di natali sassoni ma veneziano adottivo nonché sposo della stella del belcanto veneziana Faustina Bordoni, che, raccontano i biografi, non disdegnasse frequentare anche quel repertorio. I brani alternati alle letture provengono dalla raccolta Venetian Ballads del compositore, compilata da Adamo Scola e pubblicata a Londra nel 1742-48, dunque una quarantina di anni prima del viaggio di Goethe. Se le indicazioni sulla playlist veneziana dello scrittore restano piuttosto vaghe, l’antologia essenziale di canzoni denuncia un’intenzione “coloristica” ma appare comunque pertinente vista la popolarità del genere nella Venezia dell’epoca. Peccato per l’esecuzione un po’ ingessata del soprano Giulia Alberti, poco spigliata nel far rivivere quei piccoli schizzi in musica di vita e umori popolari, accompagnata dal piccolo ensemble di nove strumentisti della Venice Chamber Orchestra guidato con piglio spesso lezioso da Pietro Semenzato, autore anche dell’adattamento musicale ricco di preziosismi strumentali.
Poco più di un concerto lo spettacolo allestito da Chiara Clini, che si affida quasi interamente agli effetti luminosi di Sasha Vinci per esaltare i dettagli delle rigogliose decorazioni della sala del Selva e a video di suggestioni marine, ma rinuncia a costruire un’autentica azione scenica.
Molte presenze in sala. Applausi.
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