La Fenice riparte con Vivaldi e Händel

Il teatro veneziano riapre le porte al pubblico con un concerto händeliano e soprattutto con l’opera “Ottone in villa” di Vivaldi in uno spazio completamente ridisegnato

Ottone in Villa (Foto Michele Crosera)
Ottone in Villa (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Teatro La Fenice di Venezia
Ottone in Villa
10 Luglio 2020 - 15 Luglio 2020

Dunque, il Teatro La Fenice è ripartito. Al chiuso e nel rigoroso rispetto dei protocolli sanitari per il pubblico ma soprattutto per musicisti e cantanti, che hanno spinto il teatro a rivoluzionare la distribuzione degli spazi: la platea diventa la piazza virtuale che accoglie la musica e il canto alla quale gli spettatori assistono da palchi e dall’ “arca”, ossia il palcoscenico risistemato con delle grandi costole lignee come in un grande vascello pronto a navigare in acque ancora molto incerte.

La musica torna a risuonare nelle pareti del teatro ma soprattutto davanti a un pubblico, che non è mancato nella prima settimana della ripartenza, inaugurata da un concerto per coro e ottoni nel segno della grande musica veneziana e proseguita con un concerto dedicato all’Händel più celebrativo della Music for the Royal Fireworks e delle tre suites della Water Music dirette dall’estro e slancio di un barocchista doc come Diego Fasolis. Concerto d’occasione, certo, con ancora qualche inciampo da rodaggio ancora in corso nell’Orchestra del Teatro La Fenice, inevitabile dopo il prolungato distanziamento, ma non privo di una concertazione accurata e di preziosismi strumentali salutati con calore dal pubblico, ricambiato con un omaggio a Ennio Morricone come bis.

L’opera resta ovviamente il momento forte di questa attesa ripartenza del teatro lirico veneziano. Facendo di necessità virtù, la scelta del titolo è caduta su un’opera barocca, dunque con organico ridotto e pochi interpreti vocali, che arricchisce la serie di riscoperte del Vivaldi operista inaugurate dal teatro veneziano due stagioni fa con l’Orlando furioso e proseguite con la Dorilla in Tempe. Messo da parte il previsto e più impegnativo Farnace, alla Fenice va in scena per la prima volta l’Ottone in villa, prima “dramma per musica” di Antonio Vivaldi, composta nel 1713 per il più defilato Teatro delle Garzerie di Vicenza per evitare macchie nella carriera già avviata e celebrata di compositore di musica strumentale e violinista nella capitale Venezia. Benché opera prima, Vivaldi c’è già tutto fin dall’estro compositivo della Sinfonia di apertura in tre tempi con sfoggio virtuosistico di due violini solisti. Piccolo ma scattante l’ensemble dell’Orchestra del Teatro La Fenice fatto di una ventina di strumentisti sistemati in platea attorno al direttore Diego Fasolis, che partecipa al cembalo all’arioso accompagnamento dei recitativi con l’altro cembalista Andrea Marchiol, il violoncellista Alessandro Zanardi e il tiorbista Francesco Tomasi. Anche per questo Vivaldi si fa apprezzare l’accurato lavoro di concertazione del direttore svizzero e la felice scelta di effetti che giocano con la spazialità del suono nella scintillante sala del Selva.

Una spazialità che si ritrova anche nei movimenti scenici pensati da Giovanni Di Cicco, carriera di danzatore e coreografo prestato alla regia lirica per l’occasione, per quest’opera seria piuttosto insolita che ha molto di buffo. Le geometrie amorose sono al centro di un intreccio, che vede protagonisti il languoroso Caio Silio e la volubile Cleonilla. A loro si aggiungono la caparbia Tullia, che indossa gli abiti maschili di Ostilio per riconquistare l’amato Caio Silio ma che in quegli abiti fa invaghire Cleonilla, e il fedele Decio che tenta invano di aprire gli occhi dell’imperatore Ottone, personaggio di incredibile ingenuità. Ruoli “en travesti” e travestimenti si prestano a equivoci e ammiccamenti sessuali nella migliore tradizione di un certo libertinismo operistico veneziano. Di Cicco immagina uno spettacolo nel segno di una chiarezza narrativa e di apprezzabile fluidità nello spazio ligneo, naturalmente fisso e del tutto privo di attrezzeria, disegnato da Massimo Checchetto fra orchestra e declivio che collega platea al palcoscenico con le sole luci di Fabio Barettin a suggerire i diversi ambienti. I costumi di foggia contemporanea con qualche stravaganza sono di Carlos Tieppo.

Resta da dire del cast da elogiare in blocco per l’elevata qualità vocale, per l’equilibrio complessivo e l’adesione totale al progetto di questo Ottone. Naturalmente si impone l’estroversa “aisance” scenica e stilistica di Sonia Prina, che restituisce un ritratto divertito ma mai sopra le righe del protagonista eponimo. Lucia Cirillo come Caio Silio regala spessore e sensibilità alle arie più belle e fantasiose, composte da Vivaldi per la stella della creazione vicentina, il castrato Bartolomeo Bartoli, come “Guardami in questi occhi” in duo con il violino obbligato per non dire della movimentata aria “L’ombre, l’aure” in eco (con Tullia) del secondo atto dall’elaborato accompagnamento strumentale. All’incostante Cleonilla Giulia Semenzato dà carattere e temperamento brillante, Michela Antenucci si impone come Tullia di forte personalità anche vocale e Valentino Buzza risolve con autorevolezza le arie di Decio.

Pubblico numeroso (con numeri da tempi di Covid) e accoglienza festosa.

 

 

 

 

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