La trentanovesima edizione del Premio Franco Abbiati ha assegnato al progetto Talenti Vulcanici il riconoscimento di Migliore iniziativa musicale 2019, per il progetto ideato da Federica Castaldo con la consulenza musicologica di Paologiovanni Maione, a favore della promozione di giovani talenti musicali coinvolti in un percorso in residenza formativa e professionale, con la guida musicale di Stefano Demicheli.
Ne abbiamo parlato con i vincitori del premio.
Federica Castaldo, sono passati diversi anni dal primo premio ricevuto. In che modo è cambiato, migliorato il modo di lavorare, e l’approccio a questi progetti?
«Le circostanze nelle quali è stato assegnato il Premio Abbiati a progetti ideati dalla Pietà de’ Turchini sono importanti perché testimoniano la capacità di generare nuove prospettive e lanciare percorsi inediti anticipando i tempi. Nel primo caso il premio fu assegnato al neonato Centro di Musica Antica per "l’intraprendente e insostituibile contributo alla riscoperta esecutiva e critico editoriale del barocco napoletano", dunque un riconoscimento a un progetto che aveva come cifra identitaria la valorizzazione e diffusione della grande tradizione musicale napoletana dei secoli XVII e XVIII attraverso progetti discografici, stagioni concertistiche, attività di ricerca musicologica; ingredienti che, pur nelle trasformazioni e avvicendamenti dello staff dirigenziale e artistico, sono rimasti costanti nella progettualità culturale della Pietà de’ Turchini, in 22 anni di militanza culturale».
«Talenti Vulcanici ha avuto il merito di aprire un discorso inedito in Italia, di rilanciare il “mito fondante” della Pietà de’ Turchini su basi nuove, mettendo a sistema tutte le esperienze maturate negli anni precedenti, dalla formazione alla produzione, dal concorso di canto barocco Francesco Provenzale alla ricerca nel campo della musicologia e teatrologia, facendo leva sul ricambio generazionale, allineandosi alle nuove esigenze e fabbisogni di un contesto spesso conflittuale e autoreferenziale, come lo è quello della musica antica in Italia. Il fatto che il premio sia stato assegnato proprio al progetto Talenti Vulcanici conferma il dinamismo che connota una realtà come quella della Fondazione Pietà de’ Turchini, nonché la capacità di anticipare e innovare, con prospettive inedite, il tessuto musicale italiano con un approccio nuovo e diverso ma coerente e qualitativamente credibile».
Da quale esperienza proviene l’iniziativa, su quali modelli, da dove siete partiti in un progetto così ambizioso?
«Quando nel 2010 la Pietà de’ Turchini si è trasformata in Fondazione da Associazione musicale, attraverso una modifica statutaria dandosi un nuovo assetto nell’organigramma, ho assunto la direzione artistica della Fondazione ma in costante dialogo con un comitato artistico costituito da personalità molto diverse ed eterogenee. Ho voluto rilanciare il nostro progetto in maniera funzionale all’apertura di nuovi orizzonti con un imperativo che mi ha sempre accompagnata: mettere a disposizione delle generazioni più giovani le esperienze, i contatti, il know how maturato negli anni e soprattutto ridare a Napoli quel ruolo di attrattore di eccellenze in controtendenza con la diaspora di talenti e cervelli che la città ha conosciuto negli ultimi dieci anni».
«Per mettere in piedi il progetto, con uno sguardo alla EUBO (European Union Baroque Orchestra), ho chiamato direttori e musicisti con cui avevo grande intesa, a partire da Stefano Demicheli, la cui competenza nella prassi esecutiva barocca e la cui passione per il repertorio di scuola napoletana avevano acceso con un “colpo di fulmine” il mio entusiasmo; o Emanuele Cardi, eccellenza organistica della Campania e con una grande esperienza nel coordinamento didattico. Ho riflettuto molto sul nome, volevo connotare il progetto con una identità autonoma rispetto alla Fondazione che sapesse esprimere novità e radici nel territorio allo stesso tempo. Talenti Vulcanici mi è sembrato perfetto. Credo che il tempo mi abbia dato ragione e che superate le reazioni talvolta contrarie e diffidenti dell’inizio, i Talenti Vulcanici abbiano maturato una piccola ma gloriosa storia documentata anche dalla realizzazione di una nuova collana discografica dedicata a Napoli e realizzata in collaborazione con l’etichetta Arcana-Outhere con le copertine firmate dal grande artista Mimmo Jodice».
«Un percorso tutto in salita, fatto di enormi sforzi e investimenti ma soprattutto di entusiasmo e sogni. Se posso attribuirmi i meriti dell’iniziativa, i risultati sono il frutto di uno sforzo collegiale, dovuto al costante e fecondo confronto con personalità del mondo della ricerca come Paologiovanni Maione e Francesco Cotticelli, colleghi dai tempi dell’università e da me voluti in entrambi i comitati artistico e scientifici della Fondazione, e Marco Rossi, presidente della Fondazione fino al 2018 e attualmente Presidente dei Talenti Vulcanici costituiti in associazione. Nell’arco di poco tempo siamo riusciti ad attirare l’attenzione di diverse organizzazioni musicali dal festival Pergolesi Spontini, ai Concerti del Quirinale, ad AMAMI di Milano, allo Stockholm Early Music Festival, all’OudeMuziek di Utrecht. Un altro aspetto che mi sembra da evidenziare è stata l’idea di coinvolgere alcuni dei vincitori delle ultime edizioni del Concorso di canto barocco “Francesco Provenzale” come Carlo Vistoli, Giuseppina Bridelli, Silvia Frigato, Xavier Povedano Ruiz, allestendo programmi ritagliati sulle loro vocalità e dunque dando opportunità concrete anche ai talenti vocali emergenti».
Paologiovanni Maione, in che modo si coniugano l’aspetto musicologico e quello più strettamente pratico musicale?
«Fin dalla fondazione del gruppo l’intento era quello di aprire più cantieri di ricerca per ravvivare un po’ i repertori ormai battuti e le linee di indagine. Lo scrutare la vita “artistica” dei grandi virtuosi del passato non è mai stato legato all’inseguire quelle pagine virtuosistiche che tanta ricaduta hanno sul mercato ma esaminare le potenzialità espressive e teatrali di quel mondo di grandi attori-cantanti, e sottolineo attori. Un esempio per tutti è stata la restituzione della fisionomia “scenica” di Marianna Benti Bulgarelli, la grande musa di Metastasio, o di Nicola Grimaldi, applaudito sulle scene londinesi soprattutto per la sua fascinazione performativa. Il prossimo virtuoso che verrà restituito alla grande platea sarà Antonio Manna, il grande basso che suggestionò Händel e fu reclamato alla corte di Vienna; ancora una volta si esamina un artista che lontano dalle scene mercenarie, per il suo statuto ecclesiastico, riesce a compiere un “prodigio” belcantistico tra teatri privati e istituzioni sacre».
«Particolare attenzione è posta nel recuperare quei materiali documentari destinati a informarci su quella pratica musicale ancora tutta da ridisegnare, organici e modalità esecutive hanno una priorità nel nostro lavoro, e la presenza di Stefano Demicheli è una garanzia per intessere un dialogo vivo finalizzato a inseguire chimeriche esecuzioni storicamente informate. È pressoché impossibile reimmaginare la lettura di una pagina così come era stata eseguita ai suoi tempi – e forse neanche ci piacerebbe! – ma perseverare su criteri rigorosi di ricondurre a un ascolto consapevole gli spettatori è un parametro che non abbandoniamo mai. Anche i luoghi nel nostro percorso hanno un significato fondamentale perché offrono spazi adeguati a contenere quelle musiche, anche nella ricerca di porre i “leggii” nei posti consoni all’ascolto».
Stefano Demicheli, una nota sulle audizioni, la modalità e i partecipanti...
«Le audizioni relative ai due cicli triennali con cui abbiamo selezionato i nostri Talenti Vulcanici hanno visto un’estesa partecipazione che ha decretato il successo dell’iniziativa, sia in termini quantitativi che qualitativi. Per offrire meno di quindici posizioni abbiamo ascoltato quasi cento candidati a ogni ciclo: ampie schiere di giovani e valenti strumentisti provenienti da vari paesi del mondo che hanno confermato il riconoscimento oltre frontiera delle nostre iniziative, cementificato mattone dopo mattone partendo dalle fondamenta. La selezione, dopo pochi e semplici requisiti d’ammissione, ha seguito un’unica linea guida, ovvero la meritocrazia. Abbiamo così costruito un’orchestra internazionale, composta da giovani provenienti da vari paesi d’Europa, senza chiedere età, curriculum o provenienza: nulla di più se non abbracciare il loro strumento e farci ascoltare cosa sapevano fare. Le capacità dei giovani musicisti selezionati, coadiuvati dai valorosi tutor senza i quali non avrei potuto svolgere il mio lavoro, hanno reso possibile prestazioni di livello professionale. È stato così loro offerto il trampolino di lancio per spiccare il volo (molti di coloro che abbiamo selezionato nel primo ciclo sono ora musicisti in carriera fra le file di blasonati ensemble) e per costruire le tante produzioni che hanno contraddistinto il nostro lavoro di questi anni. La grande ambizione e la soddisfazione oggi raggiunta e a noi riconosciuta è stata quella di poter offrire ai nostri ragazzi un contesto professionale in cui esprimersi, consolidando per la nostra Fondazione un contenitore produttivo da cui partire alla conquista del mondo...».
Stefano Demicheli, può illustrare in breve il percorso musicale intrapreso: le opere scelte, quali compositori e stili (anche futuri)...
«La città di Napoli può contare su una storia e cultura fatta di secoli di tesori incommensurabili, riconosciuta eccellenza artistica del barocco in tutto il mondo. Quello che stiamo facendo noi oggi ha molto a che vedere con la storia delle istituzioni partenopee antiche che hanno determinato il prezioso patrimonio di cui oggi possiamo tutti fruire. Fin da subito la direttiva che ha indirizzato il nostro repertorio e la ricerca di cui ho infuso entusiasmo e passione nel cuore dei ragazzi è stata lo straordinario repertorio sia di musica vocale sacra (uno per tutti l'ultimo disco con lo Stabat Mater di Nicola Logroscino, geniale compositore sconosciuto ai più), che di musica vocale profana (quali ad esempio il percorso il cui solco viene tracciato dalle carriere dei celebri cantanti dell’epoca, (quali ad esempio Nicolino nel disco recital con Carlo Vistoli) senza tralasciare però il repertorio puramente strumentale già assaggiato nelle precedenti uscite ma di cui posso anticipare un approfondimento nel prossimo futuro».
«Non è questo un progetto facilmente trapiantabile altrove perché Napoli è un universo unico al mondo...».
«Una direttiva su cui Talenti Vulcanici ha speso nell’ultimo periodo le migliore energie è la fusione delle nostre avventure musicali con l’anima teatrale di Angela Di Maso, la quale ha scritto per noi degli spettacoli di grande successo. Uno per tutti è Famosissime Armoniche del regno di Napoli con la voce recitante di Cristina Donadio e la messa in scena di Albino e Plautilla di Leonardo Vinci, con un’incursione nel meraviglioso mondo del teatro buffo. Con questi spettacoli vogliamo rappresentare ai nostri talenti la fusione perfetta di tutte le arti in sinergia per un comune obiettivo e senza mai perdere di vista la modernità dei nostri giorni, con la quale dobbiamo sempre raffrontarci. Così come è stato per me anche per ognuno dei musicisti che compongono Talenti Vulcanici, ieri oggi e domani, la permeazione dello stile deve necessariamente passare per la comprensione profonda del caleidoscopio Napoli, con le sue apparenti contraddizioni e sorprese continue. Non è questo infatti un progetto facilmente trapiantabile altrove perché Napoli è un universo unico al mondo...».
Paologiovanni Maione, quali sono le dinamiche con cui si sviluppano i progetti e come si relazionano al mondo della ricerca?
«È difficile lavorare in un territorio ricco di telluriche energie, ma forse sono le grandi tensioni a rendere il nostro lavoro disciplinato e vincente soprattutto in un ambito nazionale e internazionale. Non va dimenticato che tutta l’attività scientifica svolta dalla Pietà de’ Turchini fa da terreno fertile ai Talenti Vulcanici e spesso anche da musa; sono molte le occasioni in cui i due mondi si integrano armoniosamente alimentandosi vicendevolmente. La nostra operazione intorno all’intermezzo di Vinci Albino e Plautilla ha mosso i passi da un grande progetto, tutt’ora in essere, con l’Università Federico II di Napoli, il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, la Fondazione Cini di Venezia e l’Università Cà Foscari di Venezia sui rapporti Napoli e Venezia nel primo Settecento e la pagina vinciana è testimone di quella stagione di grandi “rivoluzioni” intorno alle forme e ai generi teatrali».
Federica Castaldo, come è nato il gruppo di lavoro?
«La solidità dello staff della Fondazione si fonda su un reciproco rispetto e stima che affonda le sue radici in una conoscenza affettuosa e di grande amicizia tra me e Marco Rossi, Paologiovanni Maione, Stefano Demicheli. Il sodalizio con il professor Maione è nato alla cattedra di Franco Carmelo Greco – maestro indiscusso di storia del teatro e non solo –, tra noi esiste un fitto dialogo fatto di sogni, non sempre realizzabili ma ugualmente bellissimi e “pericolosissimi”, e di possibili produzioni da condurre in porto – se le istituzioni fossero più munifiche faremmo follie! Abbiamo cassetti che debordano di idee in attesa di essere realizzate. Va inoltre menzionato come interlocutore, sempre vigile e foriero di grandi riflessioni, Francesco Cotticelli, di sicuro erede di quel magistero che fu del “nostro” Maestro Greco, che offre inediti spaccati su una vita spettacolare, in età moderna, assai imprevedibili».