il SuonoMadre di Massimo De Mattia

Riot è il nuovo capitolo per il progetto SuonoMadre del flautista friulano Massimo De Mattia

Riot Massimo De mattia
Disco
jazz
SuonoMadre
Riot
Caligola Records
2019

Nuovo capitolo per il progetto SuonoMadre del flautista friulano Massimo De Mattia, dopo l'ottimo Ethnoshock!, pubblicato due anni fa da Caligola, proprio come questo Riot. Resta invariato il quartetto, con il leader al flauto (piccolo, alto, basso), Giorgio Pacorig al Fender Rhodes e al Korg MS20, lo sloveno Zlatko Kaučič a batteria, percussioni ed elettronica e Luigi Vitale, nelle prime quattro tracce, a vibrafono, balafon ed elettronica.

Si comincia subito in medias res, con un trillo diabolico che annuncia il sisma che verrà, un suono libero e selvatico, moti browniani organizzati con un ottimo uso delle dinamiche, musica che si rivela all'orecchio senza spiegare, senza spiegarsi, che mostra solo la sua natura mutevole, indomita. «Attraverso la città. Ci sono suoni sordi, altri stridenti. Ci sono voci riconoscibili, altre irriconoscibili, sono le voci dei nuovi barbari, venuti a salvarci dall'implosione». Così Stefano Raspa nell'affilato e puntuale testo presente nel booklet interno, dove le immagini di Romeo Toffanetti ci restituiscono l'idea di un mondo di città dove sono sparite bellezza e rapporti umani, un posto diventato deserto.

Contro questa apparentemente inesorabile movimento storico, culturale, politico, si staglia, fiero e ieratico, nel suo battagliero nitore, il canto di questi muezzin dell'improvvisazione. Proprio ad una città abbandonata, alla cosiddetta Disneyland della Mongolia, Ordos, è dedicato l'incipit del disco, che trae ispirazione dal lavoro dal fotografo e regista PierPaolo Mittica. Apparizioni, rivelazioni, furori. I musicisti sono preda della febbre della creazione istantanea, il mood è torrido, fluviale, non ci sono cali di tensione, l'elettronica aggiunge un quid di benvenuta stranezza al dettato free, Kaučič è perfettamente a suo agio nell'organizzare la tempesta con suoni che sembrano provenire dalle viscere più recondite della terra (pochi batteristi sanno essere così narrativi e personali nell'improvvisazione), il dialogo tra Vitale, Pacorig e De Mattia è ancora una volta telepatico, l'equilibrio, in bilico sull'abisso, perfetto.

Sei improvvisazioni catturate dal vivo, dove un caos controllato con scienza e delirio, come in un racconto metamorfico e kafkiano, viene lasciato libero debordare senza mai, mai divenire eccessivo o non musicale, mette in scena un atto per quattro personaggi in cerca d'autore, quattro rabdomanti alla ricerca della sorgente dell'Idea, senza pregiudizi, senza steccati, senza paraocchi. Tra le asprezze di certo free europeo e una inesorabile musicalità permeata di una negritudine sbilenca e visionaria (i miracoli da sacra e profana scrittura di "Cafarnaon", come gli Art Ensemble of Chicago del periodo Atlantic proiettati nell'ignoto spazio profondo di Herzog), SuonoMadre è un quartetto animato da una forza dirompente (l'Africa possibile di "Riot", la traccia che dà il nome al disco) e una visione limpida, dove politica e poesia si incontrano, pensando ancora che la musica possa raccontare un altro modo di guardare alle cose, dove le parole non sanno più arrivare e suonano sempre stanche.

Uno dei dischi più lirici e potenti dell'anno scorso, una iniezione di gioia e benedetta libertà dal conformismo. Un delitto che un progetto del genere non abbia lo spazio che merita nelle rassegne italiane. Chiudiamo con Franz Kakfa: «La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità: vera è la luce sul volto che arretra con una smorfia, nient'altro».

 

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