Storia del fabbro che gabbò il demonio
Dopo Anversa l’Opera delle Fiandre porta a Gand Der Schmied von Gent, ultima opera di Franz Schreker
Che Der Schmied von Gent (Il fabbro di Gand) avesse intenti politici è tutt’altro che chiaro. È storia, invece, la violenta reazione che quella “Grande opera magica” andata in scena a Berlino nel 1932 provocò nelle frange più vicine al rampante partito nazionalsocialista destinato a imporsi di lì a poco, cancellando la breve vita della Repubblica di Weimar. Se fosse per il fastidio per vedersi rappresentati sotto le sembianze degli oppressori delle Fiandre o più verosimilmente a causa del sangue non ariano del compositore poco importa: l’opera scomparve rapidamente dalle scene e il suo autore, Franz Schreker, privato di ogni carica e incarico dai nazionalsocialisti, scomparve poco dopo, cancellando dalla memoria tutti i suoi lavori per un lunghissimo periodo. Nel recupero della sua produzione musicale in corso nelle scene europee da qualche decennio, si è soprattutto fatto luce nei lavori dei primi due decenni del XX secolo ma manca ancora all’appello la sua produzione più tarda, per molti versi prossima a certe suggestioni della declinazione musicale della “Nuova oggettività”, evidenti nel recupero di una tradizione tonale e solidamente contrappuntistica ispirata al modello della tradizione musicale barocca tedesca. Lo stesso soggetto dello Schmied von Gent riflette un interesse per il tardo-Rinascimento piuttosto diffuso in Europa in quegli anni.
Nello specifico, la vicenda rappresentata è quello del fabbro Smee nelle Fiandre sotto il giogo dall’oppressione spagnola. Per raddrizzare il proprio business non esattamente florido, Smee accetta di sottoscrivere un patto con il diavolo o piuttosto con la diavolessa Astarte, a dire il vero senza grandi resistenze. Come in Faust, Smee dovrà pagare con la propria anima il conto alla fine dei sette anni dell’accordo. Le cose non vanno esattamente così: accumulata una ricchezza immensa, Smee compie un atto di generosità con una coppia con bimbo piuttosto male in arnese, che si rivela essere la Sacra Famiglia. Da San Giuseppe Smee ottiene di poter esprimere tre desideri, grazie ai quali metterà nel sacco (letteralmente) i delegati del maligno e la stessa Astarte stracciando così il patto demoniaco. Ricordandogli quel gesto scellerato, dopo la sua morte San Pietro gli rifiuterà il suo ingresso in Paradiso, che più tardi solo l’intercessione della fedele moglie (“in fondo era un brav’uomo”) gli assicurerà.
Un espressionismo esasperato nei colori abbacinanti e nella recitazione straniata e antipsicologica è la chiave scelta dal tedesco Ersan Mondtag, regista e scenografo, già celebrato in patria come una delle giovani promesse del teatro di prosa. Lo stile scelto da Mondtag è certamente intonato ai modi di questo Schreker più tardo, difficilmente abbordabile con gli psicologismi esaltati dei suoi primi capolavori, e convincente nel condurre con spirito il gioco scenico nei primi due atti attorno a una sorta di castello rotante bifronte, con una Gand dalle facciate sghembe da un lato e un gigantesco diavolone con l’Anticristo bambino in mano dall’altro. Convince assai meno, invece, nel caricare la trama di una doppia lettura “politica”, francamente forzata e parecchio fuori luogo, che rilegge la vicenda con le lenti di uno storicismo marxiano nel parallelo con la disgraziata storia coloniale del Belgio di Leopoldo II. Smee ne assume le fattezze barbute e la divisa gallonata nella sua ascesa nell’alto dei cieli (con la parentesi di un discorso registrato del leader della liberazione congolese Patrice Lumumba), dopo il suo arricchimento con le spoglie colonialiste (armi, trono e un modello in scala del Palazzo reale di Bruxelles) suggellato dal patto col demonio, il cui regno è affollato di presenze in abiti africani reiventati dalla fantasia sfrenata di Josa Marx.
Sempre rigorosissima e precisa, al contrario, la direzione musicale di Alejo Perez che trova sempre il tono giusto nei bravi strumentisti dell’Orchestra Sinfonica dell’Opera della Fiandre per il complesso ed eterogeneo linguaggio musicale di questo Schreker dai tratti molto cerebrali nella rigorosa compilazione contrappuntistica ma sempre orchestratore dionisiaco, come si coglie qui solo a tratti nei cori angelici della glorificazione di Smee del finale. Ottima nel complesso anche la compagnia di canto che, come vuole Schreker, privilegia piuttosto la dimensione collettiva, cui partecipano anche gli agguerriti Coro e Coro di voci bianche dell’Opera delle Fiandre. Si impongono comunque Leigh Melrose nel ruolo del protagonista Smee per le doti istrioniche e la grande comunicativa, la giovane Vuvu Mpofu come diavolessa Astarte dall’inquietante trucco african-demoniaco da sacerdotessa animista ma dalla vocalità radiosa, Daniel Arnaldos come Flipke sessualmente ambiguo e vocalmente ancora acerbo, e Nabil Suliman e Leon Košavić divertenti nei rispettivi ruoli del boia e del duca d’Alba travestiti da diavoli secondo i modi più classici.
Come a Anversa all’inizio di febbraio, anche nella ripresa di Gand non è mancato il pubblico curioso per la riscoperta e prodigo di applausi per tutti.
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