Il fascino immutabile dei madrigali di Gesualdo
Les Arts Florissants protagonista di un nuovo appuntamento alla IUC
Ancora Gesualdo, con una nuova tappa – tappa romana, non l’unica ma una delle poche in Italia – del progetto dedicato al Principe di Venosa che Les Arts Florissants hanno iniziato lo scorso anno nell’ambito delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario dalla fondazione del gruppo, ad opera di William Christie. Nell’Aula Magna della Sapienza, un pubblico numeroso, anche se non come per il precedente appuntamento dedicato a Gesualdo che inaugurava la stagione 2019-2020, ha ascoltato l’esecuzione integrale del IV libro di madrigali con sincera partecipazione. Anche troppa, visto che non c’è stato modo di evitare l’applauso al termine di ogni singolo brano, sorta di pervicace contrappunto che oltre a disturbare la concentrazione degli interpreti e degli ascoltatori meno fragorosi denotava scarsa familiarità con la forte carica spirituale ed espressiva del repertorio madrigalesco.
Dato alle stampe a Ferrara nel 1596, non scevro dalle suggestioni che l’autore aveva ricevuto dall’ambiente musicale di quella città, dove era venuto in contatto con Luzzasco Luzzaschi, il IV libro rappresenta una ulteriore tappa del percorso compositivo del musicista napoletano. I quindici madrigali in esso contenuti sono stati preceduti da alcuni brani di altri tra gli autori che avevano fino ad allora contribuito allo sviluppo di questa forma musicale. A iniziare dallo splendido Timor et tremor di Orlando di Lasso, con cui il gruppo diretto da Paul Agnew ha saputo immediatamente trasportare l’ascoltatore in una dimensione poetica, affascinante per la sua modernità ma del tutto lontana dai ritmi frenetici di questo nostro mondo contemporaneo. Come in uno splendido isolamento spazio-temporale, attraverso la musica sono emersi i più profondi ‘affetti’ che l’animo umano può provare, da quelli più gioiosi fino a quelli più tetri. Ed è apparsa anche la propensione dell’autore a giocare su un vocabolario dove ai sentimenti di gioia erano spesso preferiti ‘sospiri, doglie, pianti, martire e morire’, coniugati a uno stile musicale già piuttosto audace, anche se non ancora ai livelli dei due successivi libri di madrigali. La profonda coesione interpretativa dei sei cantanti ha messo in evidenza la tesa scrittura di brani come Io tacerò, ma nel silentio mio o Ecco, morirò dunque, mentre la loro limpida vocalità ha esaltato pagine più delicate come Luci serene e chiare e Il sol, qual hor più splende, rispettivamente primo e ultimo lavoro del libro. E tutto questo ha sempre portato la firma inconfondibile di Paul Agnew, discreto ma impareggiabile regista durante tutto il concerto.
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