Makaya McCraven e la (viva) voce di Gil Scott-Heron
Il batterista Makaya McCraven ha deciso di “reimmaginare” l’ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, I Am New Here
Il gioco di specchi delle musiche nere è ipnotico e ammaliatore come smarrirsi nella casa incantata di un vecchio luna park: ce lo ricorda una volta di più Makaya McCraven, talentuoso batterista e compositore della scena di Chicago (ma nato in Europa), che per il suo nuovo progetto in uscita in questi giorni su XL ha deciso di “reimmaginare” l’ultimo, folgorante disco di Gil Scott-Heron, I Am New Here.
Mettiamo un po’ le cose in ordine.
Quando esce I Am New Here, nel 2010, fortemente voluto e prodotto da Richard Russell della XL, Gil Scott-Heron è al tempo stesso un nome mitico e un mezzo fantasma: cantante e poeta di livello stellare, ha passato gli ultimi anni dentro e fuori dalle patrie galere per dipendenze varie, le condizioni di salute non sono eccellenti (morirà poi nel 2011), ma la potente unicità della sua voce funziona molto bene sopra i suoni scarni e essenziali del disco.
È musicista non solo acclamato come “pioniere del rap”, ma anche da sempre “campionato” e riletto, Scott-Heron: pezzi di classici come “The Bottle” o “The Revolution Will Not Be Televised” sono diventati materia per decine di canzoni hip-hop e R&B, e pochi mesi dopo l’uscita di I Am New Here è Jamie XX a remixare il disco.
Ne usciva We're New Here, lavoro che probabilmente poco aggiunge sia a Gil Scott-Heron che a Jamie XX, ma che – si era in anni in cui il nome del produttore britannico era parecchio lanciato – viene accolto bene dalla critica.
Il lavoro di McCraven è quello di immaginare un contesto musicale completamente nuovo, con l’aiuto di alcuni dei nomi più eccitanti della scena jazz di Chicago (città natale di Gil Scott-Heron), dal bassista Junius Paul al vibrafonista Joel Ross, dal chitarrista Jeff Parker a Greg Spero alle tastiere, passando per Ben Lamar Gay e Brandee Younger. Ma anche campionando alcuni momenti dai dischi del padre, il batterista Stephen McCraven.
Dalle sedute di improvvisazione e da una sensibile attenzione alle potenzialità di ogni singolo brano scaturisce un disco di emozionante profondità policroma.
Qualche esempio: in “New York Is Killing Me” l’originale base con I battiti di mani si muove verso terreni cosmic-gospel, alla narrazione doom di “Where Did the Night Go” viene abbinato un campionamento del flauto di Talib Qadir Kibwe – da un vecchio disco con Sam Rivers del papà di Makaya.
L’arpa di Brandee Younger imprigiona “I’ll Take Care Of You” in un incantesimo soul, “The Crutch” diventa un sabba blues elettrico con la chitarra di Jeff Parker, un segno presenta anche nei brevi interludi come “I’ve Been Me”, mentre “On Coming From a Broken Home” viene spezzettata in quattro momenti dal sapore differente, dettagliatissimo.
Come se l’essenzialità del testo di riferimento (che aveva funzionato proprio perché asciugava la forza verbale e vocale di Gil Scott-Heron attorno a sonorità urbane scure e attualissime) chiedesse di essere mantenuta vitale reimmergendola in un rinnovato flusso strumentale che sia portatore di una dialettica tra le tendenze di oggi e quella tradizione cui non smette mai di fare riferimento, We're New Again - A Reimagining By Makaya McCraven si rivela una bella bomba, in grado in un colpo solo di confermare il crescente valore di McCraven, ribadire la potente unicità del lascito di Scott-Heron e aggiungere un tassello davvero importante al mosaico black di oggi.
Sarà tra i dischi dell’anno, ma non solo.