Elena di Strauss tra maghe e soldati
Successo alla Scala per Die ägyptische Helena con la direzione di Franz Welser-Möst e la regia di Sven-Eric Bechtolf
Il battesimo di Die ägyptische Helena per la prima volta alla Scala (nuova produzione del teatro) ha avuto esito più che positivo. In primo luogo grazie a Franz Welser-Möst che ha trasmesso all'orchestra un'energia della quale il direttore è spesso parco, materializzatasi anche in sonorità fastose dai contorni netti. In secondo luogo grazie a Sven-Eric Bechtolf, che nel 2017 aveva firmato la bella Hänsel und Gretel dell'Accademia scaligera. Anche qui il regista ha avuto la mano felice nel trattare un libretto che più strampalato non si può, segnato da una drammaturgia studiata a tavolino, tutta di testa e poco di teatro. Seguendo l'indicazione di Hofmannsthal che suggeriva di considerare la cozza, il peocio o il muscolo profetico come lo si voglia tradurre (letteralmente Die allwissende Muschel) alla stregua di un giornale o di una radio, Bechtolf ha abilmente sfruttato il gigantesco apparecchio ideato dallo scenografo Julian Crouch, utilizzando l'altoparlante rotondo come schermo su cui proiettare scene della Grande Guerra, aprendolo come un armadio per svelare un secondo palcoscenico impialacciato di legni diversi con decorazioni da Secessione viennese. Padrona di questo spazio mutevole è la maga Aithra, una specie di Prospero in gonnella, che scatena tempeste, offre cocktail al loto o pericolosi infusi alla rimembranza secondo necessità. A interpretarla è la bella, brava e spiritosa Eva Mei, la migliore del cast, sempre elegantissima, con la sua mèche bianca fra i capelli corvini. Sua protetta, nei panni di Helena, è Ricarda Merbeth, di voce potente ma poco elastica nei passaggi più morbidi e con gestualità più da Brunhilde tradizionale che da donna più bella del mondo, capace di sfoggiare continuamente abiti diversi. Il mitilo profetico, che abita dentro la radio, ma spesso esce sul palco è Claudia Huckle, fasciata d'oro e dalla voce angelica. Fra tante raffinate toilettes, l'unico straccione è Menelao, conciato da parà reduce dalla guerra di Troia e dalla Prima guerra mondiale, che Andreas Schager impersona con vigore e superando ottimamente la prova impervia alla quale lo sottopone Strauss. Nel secondo atto si entra nel cuore della radio gigante, dove delle valvole anch'esse giganti sembrano degli enormi cactus elettronici dai quali spuntano i due personaggi autoctoni, il re Altair (Andreas Schager) e il figlio Da-Ud (Attilio Glaser), entrambi un po' Calibano. Accompagnati da una schiera di guerrieri a torso nudo e corna di caprone in testa. Insomma un fuoco di fila di invenzioni sceniche, ma mai eccessive e sempre in perfetta consonanza con la trama.
A fine serata grandi applausi per tutti, col solo rammarico dei tanti posti vuoti sia in platea che nei palchi. Forse che il pubblico della Scala consideri ancora Strauss un compositore difficile? Siamo ancora ai tempi della prima scaligera del Rosenkavalier quando il valzer del barone Ochs era stato accolto con versacci?
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