La Giuditta per i 100 anni dell'Associazione Scarlatti
La Cappella Neapolitana diretta da Antonio Florio ha aperto la stagione con l’oratorio La Giuditta
Nel centenario di attività dell’Associazione Scarlatti, La Cappella Neapolitana diretta da Antonio Florio ha eseguito lo scorso 17 ottobre l’oratorio La Giuditta, primo appuntamento della stagione di concerti di musica da camera a Napoli. Di fronte al gruppo, la basilica di San Paolo Maggiore – che ospitò il primo concerto organizzato dall’Associazione l’8 aprile del 1919 – piena, che ascolta in silenzio.
L’oratorio è un percorso, spesso d’amore e di morte; un viaggio nel libro della bibbia cristiana. Muove il tutto la violenza della decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta, per un cammino obbligatoriamente di guerre e battaglie, in tutte le sue declinazioni, che cancellano ogni traccia, intorno il silenzio di un mondo straniero. Dipinto in due parti rituali, La Giuditta trova approdo in un meccanico assassinio. E lì chiude. Però che strano, quando ci si alza dalla panca della basilica, dopo l’ora e più di immersione totale, e dopo gli applausi e le interminabili chiamate, il pezzo che nella memoria affiora su tutti è quello dolce e limpido d’amore del “vanne pur che in un istante bella mia ti rivedrò” di Oloferne – un buon Aurelio Schiavoni. Persino i duetti della seconda parte, che suggeriscono in continuazione, rimarcando degli altrove, restano sottotraccia. È strana questa lettura ci porta a uno Scarlatti meno drammatico, non enfatizzato, non retorico. Fatto invece di piccoli dettagli curati e raccontati con timbro suadente, più chiaro che scuro – esattamente come la storia di Giuditta che termina con la protezione divina.
Con narrativa perfetta, Giuseppina Perna, Giuditta, è un’attrice che non ha bisogno di mimare il personaggio per trasmettercelo. La sua Giuditta è molto personale che è un tutt’uno con l’orchestra. Disteso e ombreggiato è apparso Florio, già subito invitante nei primi passaggi tra recitativi e arie così spiegato a tu per tu con l’orchestra, come in modo confidenziale, nel raccontare i momenti guerreschi e più contrappuntistici del finale con tutti, e di lasciar cantare le varie parti soliste flauto, violino, tromba e violoncello con assoluta naturalezza. Leopoldo Punziano, Capitano impeccabile, e Giuseppe Naviglio, Sacerdote capace di sentimenti e pentimento anche nella voce. Entrambi bel canto, intonazione sicura, perfetta estensione delle altezze e dinamiche nei recitativi ma, anche e soprattutto, verità dell’espressione. Anche Ester Facchini, Ozia non chiara nel timbro, ma innocente nella linea melodica, ben calata nel suo ruolo.
Florio nella direzione è impeccabile, tanto da lasciar traccia di un pensiero, che rimane in una nota lasciata a risuonare, una pausa come silenzio, in assoluta nuance barocca e che lancia una stagione avvincente e da non perdere.
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