Il Maggio in Messico con Cortez
Successo per la prima fiorentina del Fernand Cortez di Gaspare Spontini, nella ricostruita versione del 1809
Inaugurazione imperiale, con fuochi e rombo di cannoni, per la stagione lirica del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, con una nuova produzione, il Fernand Cortez ou La conquète du Mexique di Gaspare Spontini, nella prima versione Parigi 1809, ricostruita dall’edizione critica realizzata da Federico Agostinelli.
Un Cortez che diverge assai dalla versione 1817 più nota e più volte riproposta per l’intero corso dell’Ottocento (Rossini ne diresse la prima italiana al San Carlo nel 1820). L’equazione Cortez = Bonaparte è alla base del libretto di de Jouy e d’Esmenard: un conquistatore che è anche il portatore di civiltà in una terra “barbara” dominata da antiche e crudeli superstizioni. Dunque Cortez liberatore, come Napoleone che aveva allora in corso la conquista della Spagna “arretrata” e sotto il giogo dell’Inquisizione.
Una lettura che oggi ci appare peggio che sospetta, ma che allora, in epoca napoleonica e oltre, ebbe corso, dal Napoleone liberatore della prima dedica dell’Eroica al finale di Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe, con il protagonista strappato via dal terribile pozzo dell’Inquisizione dal generale francese Lassalle. Ma poi la campagna spagnola finì male, con le rivolte, e poi con la vittoria spagnola di Wellington, esaltata anche da un Beethoven “nuovo corso”.
E così questo Cortez 1809, nonostante il suo grande successo, fu ritirato dalla scena parigina: l’equazione si era trasformata in un confronto pericoloso. Ma per Spontini la Restaurazione significò una nuova fortuna imperiale: da Napoleone a Federico Guglielmo III di Prussia, che proprio dopo aver presenziato a Parigi a una rappresentazione del Cortez versione 1817 offrì a Spontini la carica di General Musik-Direktor a Berlino. C’erano infatti tutti gli ingredienti per piacere a un imperatore: strepiti di battaglie e spettacolarità grand-opéra, cannoni, incendi, cavalli (qui metaforizzati da grandi maschere equine nei ballabili), grandi masse corali, clangori di ottoni fuori scena, e naturalmente i ballabili.
Di suo Spontini ci mette il suo gran rovello sinfonico di strumentatore e di iper-costruttore di intrecci e spessori orchestrali, e la sua ricerca drammatica fatta di recitativi vibranti a suon di arditi scorci armonici e simili, di modo che il compositore del Cortez 1809 ci sembra, come sempre, epigono di qualcuno (la linea teatrale “riformata” di Gluck-Cherubini & Co. ad esempio) o precursore di qualcun altro, come Berlioz.
Questo Cortez era stato fortemente voluto dal defenestrato sovrintendente Cristiano Chiarot e avrebbe dovuto essere diretto da Fabio Luisi. L’affare Nardella-Nastasi, di cui abbiamo ampiamente riferito sul giornale della musica (qui e qui), ha rivoluzionato i vertici del teatro, e sul podio è stato chiamato, a sostituire Luisi, Jean-Luc Tingaud, che ha saputo gestire con mano esperta questa partitura complessa e strepitante, ben assecondato da un cast in spiccava l’intensa Amazily di Alexia Voulgaridou, la principessa nativa amante di Cortez, ma da apprezzare anche il Cortez tenore misurato ma incisivo di Dario Schmunk e l’incisivo e potente Moralez (primo ufficiale e amico di Cortez) basso-baritonale di Gianluca Magheri.
Al di là del risultato musicale, come rimanere fedeli all’impianto spettacolare di questo proto-grand-opéra prendendo le distanze da un contenuto che oggi non può non apparirci inaccettabile? Su questo si è concentrata la regia di Cecilia Ligorio, cogliendo gli spunti dell’opera – ad esempio nella rappresentazione contrapposta dei marziali spagnoli e delle innocenti e spontanee native – e creando una sorta di cornice, in cui un Moralez oramai attempato consegna a un diario le sue riflessioni sulla vicenda che appaiono in proiezione su un velario. Scene lineari ed eleganti, di Alessia Colosso e Massimo Checchetto, con fondali marini a scena dipinta, i vascelli che Cortez fa poi incendiare nell’episodio visivamente più rilevante e grandioso, e tutto il resto.
Un discorso speciale va riservato ai ballabili, non solo perché Spontini ci sembra rivelare qui qualcosa di più estroso e personale, ma anche per la coreografia di Alessio Maria Romano per il Nuovo Balletto di Toscana di Cristina Bozzolini, che ha usato l’energia giovanile di questo corpo di ballo per suggerire un incontro che si trasforma poi in stupro di una civiltà. Teatro discretamente gremito per una rarità, e, a dispetto della durata di oltre quattr’ore, senza troppi esodi, successo finale piuttosto vivo.
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