A Bayreuth un Tannhäuser incerto fra circo e opera di Tobias Kratzer 

Contestazioni ma molti applausi per il nuovo allestimento dell’opera wagneriana che ha aperto l’edizione numero 108 del Festival di Bayreuth 

Tannhäuser
Tannhäuser
Recensione
classica
Bayreuth, Bayreuther Festspiele
Tannhäuser
25 Luglio 2019 - 28 Agosto 2019

"Liberi di volere! Liberi di fare! Liberi di godere!". E liberi di ridere e di gusto nel nuovo Tannhäuser, che ha aperto non senza qualche sonora contestazione l’annuale rassegna wagneriana di Bayreuth. La frase citata più sopra riflette lo spirito libertario che ispirava il Wagner di Arte e Rivoluzione, saggio pubblicato nel 1849 e quindi nel pieno della stagione rivoluzionaria di cui anche il tormentato Tannhäuser porta il segno. Per la settima versione scenica dell’opera allestita al Festspielhaus di Bayreuth si è scelta proprio la prima versione, quella cosiddetta di Dresda, meno legata a un’idea di grand opéra della successiva versione parigina di una quindicina di anni posteriore. Detto questo, l’operazione filologica si ferma là, poiché per l’allestimento scenico si è optato per l’oramai convenzionale irriverenza di un regista come Tobias Kratzer, sempre più interessato alla provocazione corriva che alla riflessione, come testimoniano le sue prove più o meno recenti della carriera di teatrante. 

 

 

Rispetto al precedente allestimento di Tannhäuser dello stesso Kratzer portato in scena a Brema nel 2011, lo spirito rivoluzionario sembra è un po’ svaporato ma non così la tentazione alla goliardata e alla risata facile. Immutato è invece l’amore per il proclama wagneriano "Liberi di volere! Liberi di fare! Liberi di godere!" che da Brema si ritrova sui manifesti dell’improbabile troupe di artisti circensi a bordo di un vecchio furgoncino Citroën guidato da Venere con Tannhäuser al fianco in abiti e trucco da clown e accompagnamento del nano Oskar (proprio come il protagonista del Tamburo di latta di Grass, tamburo compreso) e la drag queen anglo-nigeriana Gateau Chocolat. Nel primo atto “on the road” con il supporto alle videoproiezioni (molto presenti in tutto lo spettacolo) di Manuel Braun si racconta delle scorribande della miserabile compagnia che ruba benzina da un parcheggio e si rifocilla a scrocco in un Burger King autostradale, prima di investire un poliziotto che tenta di fermarli. Tannhäuser, in equilibrio instabile fra opera e circo, ne ha abbastanza di quella vita da girovaghi, come manifesta a Venere nel parcheggio di un Biergarten, e decide quindi di abbandonare la compagnia lanciandosi dal furgoncino in corsa. Atterra proprio davanti al Festspielhaus di Bayreuth, mentre il pubblico in tiro sta entrando a vedere lo spettacolo (evidentemente il Tannhäuser). I suoi compagni lo riconoscono e si preparano all’atto della Wartburg. È un trionfo dell’iconografia più convenzionale la sala della Wartburg ricostruita con puntiglioso gusto archeologico dall’estro dello scenografo e costumista Reinhard Traub. Se nella scena si consuma il rito della tenzone dei cantori, lo schermo che sovrasta la scena rimanda le immagini delle quinte e soprattutto della facciata del Festspielhaus nel quale si intrufolano i tre disgraziati circensi dopo aver appeso un banner ancora con la citazione/manifesto wagneriano della loro vita di artisti (incidentalmente, resta un vero mistero come riescano a entrare nonostante le pesanti misure di sicurezza che limitano non poco i movimenti anche del pubblico!). Venere ruba il costume a una corista con disturbi intestinali ed entra in scena, disturbando la tenzone canora con varie gag, mentre il nano Oskar e Gateau Chocolat avvolta in una nuvola di tulle gialla e scarpe rosse di vernice imperversano dietro le quinte, come Harpo e Chico Marx nel Trovatore di A Night at the Opera. Tannhäuser dà di matto, attaccando le convenzioni dell’operismo fossilizzato della Wartburg, e Katharina Wagner (in video) chiama la polizia e arresta il cantore e, nel parapiglia generale, Gateau Chocolat sventola una bandiera Rainbow. Il terzo atto è ambientato nello squallore di una discarica di veicoli di una qualche periferia del mondo. C’è solo il nano Oskar, dopo aver espletato e essersi pulito con un brano del manifesto wagneriano, ad accogliere la disperata Elisabeth in cerca del suo amato Tannhäuser. Il grande poster pubblicitario, che sovrasta i rottami del furgoncino, fa capire che Gateau Chocolat è la sola ad aver fatto fortuna in quel paesaggio di rovine. Elisabeth si abbandona a un desolato amplesso con Wolfram, vestito dei miseri panni del clown, prima di suicidarsi. Tannhäuser esce di galera, ha un ultimo scambio con Wolfram e Venere, e, messo al corrente della morte di Elisabeth, sogna (in video) di quella fuga on the road che il conformismo della donna amata ha sempre impedito. Sipario. 

E come spesso a Bayreuth il pubblico si spacca fra fischiatori e accesissimi sostenitori soprattutto del team registico. Sorprendono piuttosto i molti fischi a Valery Gergiev, al suo debutto a Bayreuth, ma incidenti così capitano quando si punta a polarizzare il consenso. Non sarà probabilmente ricordata come la prestazione più folgorante del direttore russo, ma non si può non riconoscere una direzione attenta, soprattutto a un equilibrio miracoloso con il composito cast in scena, e la cura estrema del suono della sempre sorprendente Orchestra del Festival. Apprezzabile soprattutto la misura con la quale Gergiev mitiga una certa retorica wagneriana, che personalmente ci è sembrata il miglior contributo a una messa in scena scioccamente radicale come quella di Kratzer. Poche sorprese invece nel cast – festeggiatissimo con sonore ovazioni, con numerosi solidi e riconosciuti professionisti del verbo wagneriano. Molto attesa era la prova di Lise Davidsen, giovane astro nascente del wagnerismo: la sua Elisabetta ha una voce imperiosa e solare ma il personaggio non esce, maltrattatissima da una regia particolarmente accanita sul personaggio. Stephen Gould è un Tannhäuser soprattutto dalle qualità vocali affidabili ma poco duttile e soprattutto completamente estraneo all’estremismo di Kratzer, che sembra invece non creare alcun problema alla spiritosissima e trascinante Venere di Elena Zhidkova, nonostante la sostituzione all’ultimo dell’incidentata Ekaterina Gubanova. Fra i cantori, Markus Eiche è un Wolfram diligente ma poco trascinante e Daniel Behle regala al suo Walther von der Vogelweide un tocco di giovanile baldanza, così come il pastore in bicicletta di Katharina Konradi. Da citare infine il roccioso Langravio di Stephen Milling, sostanzialmente tetragono alle discutibili trovate registiche. Nel suo diario annotava Cosima nel 1883 di come Wagner, prossimo alla morte, sentisse di dovere ancora al mondo il suo Tannhäuser. Certamente anche a Bayreuth l’appuntamento è rinviato a un’occasione migliore. 

 

 

Nessuna contestazione invece per l’affollata prima dell’adattamento per bambini dei Meistersinger von Nürnberg firmato da Katharina Wagner con Markus Latsch e la sagace riduzione musicale di Marko Zdralek, che salva i pezzi migliori dell’opera e li codensa in 75 divertenti minuti. È piuttosto angusto lo spazio del capannone normalmente destinato alle prove degli allestimenti del festival maggiore ma il regista Dirk Girschik, con la collaborazione dello scenografo Ivan Ivanov che non lesina ingegno per assicurare la necessaria varietà degli ambienti, riesce brillantemente nel difficile compito di tenere l’attenzione del giovane pubblico dei wagneriani di domani. 

Davvero ottimo il cast impiegato per questi piccoli Maestri cantori, con molte voci presenti anche nel cartellone del festival che non si risparmiano nemmeno su questa piccola scena. Molto riuscite soprattutto le prove di Vincent Wolfsteiner (Walther von Stoltzing), della sua innamorata Christiane Kohl (Eva), del ciabattino generoso Werner Van Mechelen (Hans Sachs), assistito dal bonario Stefan Heibach (David), e del trucibaldo Armin Kolarczyk (Sixtus Beckmesser). Non si risparmia nemmeno sui mezzi musicali che anche quest’anno vedono impegnata l’Orchestra di Stato Brandeburghese di Francoforte sull’Oder diretta con trasporto da Azis Sadikovic. Si replica più o meno per tutta la durata del festival. 

Quest’anno il festival ricorda i cento anni della nascita di Wolfgang Wagner, per sessant’anni solida guida del festival wagneriano prima di cedere lo scettro alle figlie Eva e Katharina una decina di anni fa. Una mostra al Museo wagneriano di Villa Wahnfried ne ricorda l’attività di regista e soprattutto il coraggio di impresario, due ruoli che sono stati l’oggetto delle commosse rievocazioni della figlia Katharina, dell’ex direttore dell’Opera di Stato di Vienna Ioan Holender e del direttore d’orchestra Christian Thielemann nel corso di un concerto dell’Orchestra del Festival diretta dallo stesso Thielemann alla vigilia dell’inaugurazione. In cartellone, l’Ouverture dei Meistersinger, il “Römerzälung” dal III atto del Tannhäuser con Stephen Gould, il finale del III atto dalla Walküre con un toccante Günther Groissböck e, in conclusione, il Preludio e “Liebestod” di Isotta dal Tristan con la sempre carismatica presenza di Waltraut Meier. 

 

 

 

 

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