Cabaret Carmen

Delude la regia di Spirei per Bizet allo Sferisterio di Macerata

Carmen
Carmen
Recensione
classica
Arena Sferisterio di Macerata
Carmen
19 Luglio 2019 - 10 Agosto 2019

Concluso il primo week end del Macerata Opera Festival, intitolato #rossodesiderio,  con i tre titoli in programma, Carmen, Macbeth e Rigoletto. Nuova produzione per Carmen, mentre per le due opere verdiane, di cui si è già scritto sul GdM, si è trattato di riprese: dall’edizione del 2015 creata per lo Sferisterio il Rigoletto di  Federico Grazzini, ambientato in un luna park, mentre l’intensissimo Macbeth di Emma Dante arriva a Macerata dopo gli allestimenti di Palermo e Torino e la premiazione al Festival di Edimburgo, adattato agli immensi spazi del teatro all’aperto. 

Carmen, dunque, è stata presentata attraverso una lettura esasperata e non funzionale alla sua ricezione, sollecitata, come anticipato dal regista Jacopo Spirei, dai diversi numeri di musica in scena presenti nell’opera, la cui natura di “canzoni” ha orientato verso l’ambientazione in  un cabaret parigino, senza alcun riferimento  alla couleur locale e con inevitabili frizioni tra libretto e scena. Cabaret dove le sigaraie si sono trasformate in entreneuses semi nude e con parrucche fosforescenti,  invero abbastanza sgraziate nei movimenti pantomimici, e dove la protagonista, l’americana Irene Roberts,  si è esibita un paio di volte in numeri di streap tease.  Escamillo, interpretato da David Bizic, nelle movenze e negli abiti ha voluto essere un vero emblema del kitsch, assumendo i tratti di uno sguaiato pappone, o boss malavitoso, in giacca con paillettes, pantaloni   di stoffa lucida e massiccia catena d’oro al collo. La piazza di Siviglia, infine, si è  trasformata in un red carpet dove sfilavano vip dal look improbabile ripresi da cameramen e avidi paparazzi. Interpretazione del libretto, come si diceva sopra, che nulla dà alla carica di erotismo, alla libertà di vita e di spirito  e all’ incontrollabile passione che caratterizzano i personaggi.

La scena, disegnata come i costumi da Mauro Tinti è stata dominata per tutti  e quattro gli atti dall’immagine di una grande gamba che calzava al piede un tacco dodici, elemento richiamato anche  dalle calzature indossate dai ballerini-mimi presenti in scena, create appositamente da un’azienda calzaturiera marchigiana che nel programma di sala figura tra gli autori. Elemento predominante dello spettacolo sono stati i numeri di danza-pantomima, che hanno assunto la forma di danza verticale sui muri dello Sferisterio e, in tono con l’ambientazione, di pole dance su pertiche sormontate da turgide labbra gonfiabili. 

 Anche la gestualità e la vocalità degli interpreti, pur apprezzabile per timbro ed intonazione, sono apparse poco pregnanti,  e nel caso della Roberts e di Matthew Ryan Vickers (nei panni di Don José) prive della passionalità che contraddistingue i protagonisti. Interpretazione piatta, a tratti noiosa, e al limite dell’udibile nei dialoghi parlati, sorretta da un’orchestra (la FORM, Orchestra Filarmonica Marchigiana) altrettanto sotto tono e priva di colore. Merito al direttore Francesco Lanzillotta l’aver reintrodotto nella partitura alcune pagine rarissimamente eseguite, come l’episodio tra Moralès e il coro maschile, in forma di mélodrame, l’intervento dei tenori nel coro delle sigaraie, e la versione lunga del duetto José-Escamillo nel terzo atto).

I maggiori applausi per Valentina Mastrangelo in Micaela, personaggio dai buoni e sani sentimenti la cui natura neppure Spirei ha pensato di   stravolgere. 

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