Hawkins e Webster, allievo e maestro
La ristampa in cd di Ben Webster Meets Coleman Hawkins, del 1957
Nel 1957 nel jazz stavano succedendo parecchie cose. Si preparava la grande svolta di un paio d'anni successivi, si tiravano le somme sulla scomparsa di Charlie Parker che aveva di botto dato uno scossone al centro di gravità delle note afroamericane, lasciando a chi era rimasto carte decisive da scegliere per il futuro. Coleman Hawkins, veterano delle scene, uno che aveva iniziato accompagnando Mamie Smith nei primi anni Venti, che aveva avuto accanto Louis Armstrong nell'orchestra nera di Fletcher Henderson, che aveva scommesso e vinto individuando nei giovani “eretici” del bebop nascente di New York le nuove forze creative era ancora in piena attività.
Era il padre nobile di tutti i sassofonisti tenore, Coleman Hawkins, almeno di quelli che della robustezza e spessore del suono avevano fatto una ragione di vita: combattendo una tenzone stilistica mai destinata a sanarsi con i seguaci dell’etereo e pure bluesy Lester Young. Hawkins avrebbe ancora fatto a tempo a nobilitare un disco di immenso spessore e valenza politico – culturale come We Insist! Freedom Now Suite, tre anni dopo.
Nel frattempo, tornato in pianti stabile negli States, passato il grande incendio boppistico Bean (il soprannome che tutti gli davano: stava per “The Best and Only”) suonava tanto, e con chi voleva. Spesso ignorando completamente le etichette stilistiche, per lavori che lo divertivano e lo mettevano alla prova. Come queste strepitose session losangeline “mainstream” e prodotte e volute da Norman Granz, il deus ex machina di tante incisioni jazz un tempo guardate con malcelato fastidio, e oggi rivalutate come momenti topici del jazz del secondo dopoguerra. Il 15 ottobre Granz aveva convocato in studio Webster per incidere il magnifico Soulville. Il 16 era di turno Ben Webster per The Genius of Coleman Hawkins. Nella notte del 16, l’idea di incidere queste tracce.
Ben Webster era, a tutti gli effetti, un epigono di primo livello del suono di Hawkins. Di diverso aveva l’attacco, più sapido, e il caratteristico “soffio” che metteva in vibrazione quasi ogni nota, presto valorizzato da uno con le orecchie attente come Duke Ellington. Qui padre nobile e discepolo sono al confronto, dopo un primo incontro discografico lontano, nel 1944, con accompagnamento da una ritmica implacabilmente precisa: Ray Brown e Alvin Stoller a baso e batteria, il funambolico Oscar Peterson al piano, Herb Ellis con il suo timing perfetto alla chitarra.
La ristampa in cd offre come bonus tre tracce originariamente non incluse nel disco, e quattro brani in cui, pariteticamente, è presente solo uno dei due grandi del sax tenore: un titolo è in comune, e così il gioco al confronto è aperto.