Surealistas tra Argentina e Italia
Canta è il disco dei Surealistas, quintetto tra tango, jazz e echi western
Negli anni Venti del “secolo breve, il Novecento, cosiddetto non tanto perché il tempo si contrasse, ma perché le accelerazioni della storia portarono a due guerre mondiali e a un totale riassetto geopolitico del pianeta, a Parigi furoreggiavano le avanguardie artistiche. Di queste il Surrealismo rappresentò uno spicchio sostanziale e decisivo, e assai affascinante, nel momento in cui rivendicava le ragioni dell'automatismo del sogno a incidere sulle nostre esistenze reali. Chi ne cercasse traccia testimoniale può andarsi al leggere cosa ne scrisse la “scandalosa” Anaïs Nin nel secondo volume del suo ponderoso diario, quando ne conobbe il padre, André Breton.
Le ragioni dell’inconscio onirico sicuramente c’entrano poco con la musica che propone questo notevole gruppo – Surealistas – che ne ricorda il nome in versione spagnola, ma inevitabile casca la battuta che un gruppo dove suonano assieme tre musicisti argentini, due siciliani e tre toscani qualche tratto surreale in fondo ce l’ha. Scarto misurato tra la retorica dell’identità, e la realtà concreta di un mondo in cui chiunque può affrontare qualsiasi cosa, anche in musica, purché abbia preparazione e rispetto per la materia.
Cultura, non natura e geni e spirali del DNA. Cultura elaborata in lunghi e vivificanti giri per l’Europa, e poi in una residenza artistica italiana che evidentemente ha affinato e limato il progetto stesso, sino ad arrivare a questo “Canta”. In particolare qui, alla base, c’è un divorante amore per la musica argentina, specie per tutte quelle declinazioni della stessa che confinano con i colorati reami della popular music. Operazione non molto distante da quanto hanno fatto in Brasile, per citare due nomi distinti di figure importanti separate dall’anagrafe, Caetano Veloso e Lenine.
Quindi qui troverete un bel florilegio di brani d’impatto che si fissano nella memoria al primo ascolto, in uno strano, torrido territorio che mette in conto, ad esempio, echi di spaghetti western, milonghe d’antan, ricordi andini. Gran mulinio di corde, voci all’altezza delle temperature emotive calienti intercettate, ottima mini sezione di fiati a rimpolpare il tutto con arrangiamenti calzanti. Chissà Breton cosa ne avrebbe pensato: forse avrebbe preferito sognarli.