Il (silenzioso) centenario di Galina Ustvolskaya

La vita e l'arte della dimenticata compositrice russa in 10 tappe, tra registrazioni inedite e rarità

Galina Ustvolskaya
Galina Ustvolskaya con Reinbert de Leeuw
Articolo
classica

Per il mondo musicale, il 2019 è l’anno delle grandi donne. Accanto ai festeggiamenti per i duecento anni dalla nascita di Clara Wieck, grande pianista e compositrice, nonché musa e moglie di Robert Schumann, si colloca silenziosamente il centenario della compositrice russa Galina Ustvolskaya (1919-2006).

Segnata da un destino alquanto ingrato, Galina Ustvolskaya è universalmente riconosciuta come una delle voci in assoluto più originali della musica del Novecento. Eppure la sua produzione non è ancora così nota e praticata come dovrebbe. In occasione di questo importante anniversario, sono però molte le iniziative programmate per i prossimi mesi dalle maggiori istituzioni musicali.

Galina Ustvolskaya

Mentre in Italia non vi è al momento traccia ufficiale di alcuna iniziativa, nel centenario della “donna con il martello”, la sua musica si posiziona al centro di un rinnovato interesse. Lo scorso 17 giugno, nel giorno esatto della sua nascita, è apparsa infatti sui social una rara registrazione della sua Prima Sinfonia diretta da Valery Gergiev, mentre una delle composizioni originariamente escluse dal suo misurato catalogo musicale, ha ricevuto a inizio anno il suo battesimo ufficiale sulla scena internazionale. Vale dunque la pena rendere omaggio alla figura di questa grande compositrice, la cui musica risuona ancora oggi così originale e viva, ripercorrendo la sua produzione in dieci fondamentali tappe.

1.

«Sono convinto che la sua musica si farà conoscere in tutto il mondo, apprezzata da tutti coloro che avvertono la verità in musica come elemento fondamentale».

Galina Ivanovna Ustvolskaya nasce il 17 giugno 1919 nell’allora Pietrogrado. Completata la sua formazione musicale in un istituto associato al Conservatorio Rimsky-Korsakov della città, nel frattempo divenuta Leningrado, nel 1939 entra nella classe di composizione di Dimitri Šostakovič, unica ragazza a frequentare il corso. Dopo la fuga obbligata a seguito dell’assedio da parte dei tedeschi, Galina Ustvolskaya riprese gli studi solo nel 1944, componendo, due anni più tardi, il Concerto per pianoforte e orchestra come prova di diploma, sotto la guida di Šostakovič.

Il compositore è stato il primo sostenitore della musica della sua giovane allieva, già così matura da accogliere i semi di quei tratti stilistici che di lì a poco diverranno i caratteri distintivi della sua estetica. A questo punto sarà proprio Šostakovič a sottoporre al giudizio dell’allieva alcune partiture, mentre nel suo Quinto Quartetto per archi e in un passo della Suite sui versi di Michelangelo Buonarroti prese a prestito uno dei temi del Trio di Galina Ustvolskaya.

2.

«Scrivo solo in uno stato di grazia, dopodiché le mie composizioni vengono lasciate riposare affinché non arriva il tempo di affidarle alla loro libertà. Se ciò non avviene, le distruggo».

Analogamente a quanto accaduto alcuni anni prima al suo maestro, nel 1948 Galina Ustvolskaya viene pubblicamente accusata di formalismo. Per non vedersi sospendere dal suo incarico di insegnante, Galina Ustvolskaya si adegua alle imposizioni del partito e scrive Il sogno di Stephan Razin. Basato su un racconto eroico, il Poema per basso e orchestra inaugurò la stagione musicale dell’Orchestra Filarmonica di Leningrado nel 1949. A questa composizione, che le valse una nomina al Premio Stalin, seguirono una serie di lavori che, nonostante tenessero conto dello stile caro al partito sovietico, vennero comunque considerate troppo stravaganti e per questo poco eseguite.

Fallito anche questo tentativo di sopravvivere artisticamente in un clima politico così asfissiante per la qualsiasi forma di originalità, Galina Ustvolskaya rinnegò tutti i lavori richiesti su commissione, escludendoli definitivamente dal suo catalogo musicale. Non è un caso, dunque, se Il sogno di Stephan Razin incontrò la sua prima esecuzione mondiale solamente nel gennaio di quest’anno, in un concerto della Radio Philharmonic Orchestra al Concertgebouw di Amsterdam, diretto da Vasily Petrenko con Anatoli Sivko solista.

3.

«Nel mio catalogo non c’è posto per la musica da camera».

Il 1949 è l’anno del Trio per violino, clarinetto e pianoforte e della Seconda Sonata pianistica. Dato il periodo storico particolarmente ostile, la Seconda Sonata per pianoforte dovette attendere almeno diciotto anni prima di ricevere la sua prima esecuzione. Scritta in due movimenti, metricamente libera da qualsiasi suddivisione di battuta, il flusso di questa musica accoglie il candore melodico e l’austerità sonora di una serie di accordi tratteggiati in valori ampi, il cui moto ostinato trascina una serie di dissonanze disseminate in grappoli accordali. In appena dieci minuti, questo pezzo contiene tutti gli elementi del modo di procedere in musica di Galina Ustvolskaya. Nonostante la sua opera fosse stata messa all’indice, già a partire dalla fine degli anni Sessanta il pianista Anatoly Vedernikov incluse la Seconda Sonata nei suoi concerti, incidendola poi in un disco. Si tratta di una versione particolarmente cara a Galina Ustvolskaya che, lungo l’intero suo arco creativo, arriverà a definire sei Sonate.

Con qualche rara eccezione, Galina Ustvolskaya sentì l’urgenza di esprimersi in musica attraverso ensemble di dimensioni contenute e alquanto insolite dal punto di vista dell’organico. Per questo motivo la compositrice evitò di catalogare parte della sua produzione come musica da camera, dato lo spiccato respiro sinfonico che attribuì pazientemente a ogni suo lavoro.

4.

«Non credo a quei compositori che producono centinaia di opere: sono tutti pezzi destinati all’oblio».

Delle cinque Sinfonie composte da Ustvolskaya, la prima (1955) è l’unica a presentare un organico tradizionale. Il movimento iniziale e quello finale fungono da cornice strumentale alle otto melodie basate su una serie di testi di Gianni Rodari, tradotti in russo. Per il tipo di tematiche trattate, questa Sinfonia venne eseguita per la prima volta a Leningrado solo undici anni più tardi la data di composizione. Nel giorno del suo centenario, l’archivio che riporta il nome della musicista russa pubblica per la prima volta sui social la prima registrazione attendibile dell’opera, effettuata in un concerto tenuto in Olanda nel 1992, diretto da Valery Gergiev.

5.

«Se il valore di un compositore è determinato dalla quantità delle sue pubblicazioni, allora gli scribacchini saranno i compositori più celebrati».

Intorno alla Quarta Sonata per pianoforte si inseriscono una serie di lavori che la stessa Ustvolskaya escluderà dal proprio catalogo. Tra queste, figura il Poema n. 1 per orchestra (1958). L’ascolto di questo brano oggi indica a quale grado di professionalità e di originalità la compositrice russa era disposta a spingersi pur di incontrare l’espressione più completa del suo essere in musica. Tutt’altro che un banale pezzo d’occasione, sebbene strutturato in un contesto musicale più tradizionale, gli accecanti interventi dei fiati nel registro acuto che sovrastano l’andamento ostinato del basso, insieme alla concatenazione armonica di alcuni passaggi apparentemente statici, sono indicatori di un’instancabile ricerca. Per non parlare delle raffinate attenzioni timbriche che accompagnano l’apparizione della melodia di stampo popolare, e che esaltano la profonda conoscenza dei mezzi compositivi da parte di Galina Ustvolskaya. Va notato che pure a un musicista influente come Reinard de Leeuw, per il quale la compositrice provò una sorta di devozione artistica, non fu concessa la possibilità di suonare questo brano mentre Galina Ustvolskaya era ancora in vita, a riprova della sua determinazione.

6.

«Ogni talento, anche il più modesto, diviene interessante solo quando riesce a individuare la propria via».

Dopo l’esperienza della Sonata per violino e pianoforte (1952) Galina Ustvolskaya riversò nel Gran Duo per violoncello e pianoforte (1959) e nel Duo per violino e pianoforte (1964) il distillato della sua musica. Momenti lirici vengono fatti detonare con una potenza fino ad allora inaudita. Testimone della trasformazione caratteriale della compositrice, da donna timida a pianista dalla forza brutale una volta seduta allo strumento, il violoncellista Mstislav Rostropovich intuì il rischio che poteva derivare da un’esecuzione pubblica del Gran Duo in quel preciso momento storico. Anche questo lavoro dovette attendere dunque non poco per essere eseguito e registrato dallo stesso Rostropovich nel 1996.

7.

«Anche se le mie composizioni non possono essere definite religiose in senso stretto, sono comunque impregnate di uno spirito sacro».

Le tre Composizioni che tennero impegnata Galina Ustvolskaya tra il 1970 e il 1975 evidenziano organici molto ristretti e diversi tra loro, oltre a un chiaro riferimento alla religione cristiana da parte di una donna che non dovette per forza scegliere a quale culto aderire per manifestare il suo credo. Scritta per ottavino, tuba e pianoforte, la prima Composizione riporta sul frontespizio gli ultimi versi dell’Agnus Dei, “Dona nobis pacem”. La loro intonazione è affidata alle voci degli strumenti dato che questi lavori non prevedono la presenza di un cantante o di un attore in organico. Così la Seconda Composizione è scritta per otto contrabbassi, percussioni e pianoforte e contiene la dicitura “Dies irae”, mentre “Benedictus qui venit” chiude la trilogia negli impasti sonori di quattro flauti, quattro fagotti e pianoforte.

La densità di questa musica si basa su escursioni dinamiche molto audaci, rinforzate dall’ostinazione dei cluster pianistici in contrappunto alle vibranti fasce sonore degli strumenti ad arco e a fiato. 

8.

«Esiste una differenza tra musica scritta da uomini o da donne? Trovo che parlare di musica in questi termini sia umiliante».

Ventiquattro anni separano la Prima Sinfonia dalla Seconda (1979). Affidata a un ristretto quanto particolare gruppo strumentale, questo lavoro è divenuto forse la prima Sinfonia della storia a non prevedere un direttore d’orchestra. Ciò è dovuto alla lungimiranza di un musicista del calibro di Reinbert de Leeuw, che a partire dagli anni Novanta portò per la prima volta l’opera della compositrice all’attenzione del mondo musicale. Secondo le parole della stessa Ustvolskaya, qui il pianoforte gioca un ruolo vitale per la riuscita dell’intera composizione, per questo motivo insistette affinché la figura del pianista e del direttore non coincidessero nella stessa persona. La Sinfonia prevede inoltre l’intervento di una voce recitante a interpretare, come nelle successive due, un testo di Hermannus Contractus, monaco e intellettuale medievale, oltre che teorico della musica. Alla voce recitante è richiesta anche una certa presenza scenica tale da consentirgli di mimare la declamazione del testo.

9.

«Credo che le mie composizioni possano risuonare al meglio se eseguite all’interno di una chiesa».

Con la Quinta Sinfonia (1990) si chiude il catalogo musicale di Galina Ustvolskaya. Scritta per voce recitante, violino, oboe, tromba, tuba e percussioni, il tessuto musicale di questo lavoro risulta particolarmente asciutto. La sua incisività comunicativa deve la sua forza a un sapiente impiego di una strumentazione ridotta ai minimi termini. Come per le altre sue composizioni sinfoniche, Galina Ustvolskaya carica anche la sua ultima Sinfonia di una forte spiritualità attraverso la declamazione del Padre Nostro. L’ultima parola della preghiera, “Amen”, è anche il nome di questa Sinfonia, nonché l’ultima opera completata da Galina Ustvolskaya.

10.

«Mi risulta difficile parlare della mia musica. Purtroppo la mia predisposizione alla composizione non coincide con la possibilità di poterla descrivere».

Dopo il silenzio che ha accompagnato gran parte della sua attività creativa, a partire dagli anni Novanta Galina Ustvolskaya conobbe un periodo particolarmente felice per la sua musica, grazie anche all’impegno di alcuni musicisti, tra tutti il pianista e direttore Reinbert de Leeuw. I due musicisti ebbero modo di collaborare diverse volte insieme in quegli anni. Della loro frequentazione artistica troviamo traccia nel documentario Toonmeesters Galina Oestvolskaja diretto da Cherry Duyns nel 1994, e in Scream into space, diretto da Joseé Voormans nel 2005.

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