João Gilberto? «La figura più importante della storia della musica popolare brasiliana». La definizione – esatta, precisa, inconfutabile – non è di chi scrive, e nemmeno dell'esaltato coccodrillista di turno (fotografie sbagliate, articoli superficiali e sciatti, banalità e luoghi comuni: quante ne abbiamo viste, purtroppo, in questi giorni?). Le parole, commosse fino alle lacrime, lanciate da un palco qualsiasi in mezzo all’Atlantico (Ponta Delgada), sono del figlio prediletto Caetano Veloso, che al padre João Gilberto deve tutto (e forse di più).
L’ultima fotografia scattata a «Dio» (la definizione stavolta è di Romulo Fróes) risale invece a qualche settimana fa, e in un amen aveva fatto il giro dei social: abito e cravatta blu, il collo troppo magro dentro il colletto della camicia bianca, la chitarra appoggiata a terra a sorreggere il peso delle mani ossute e degli 88 anni, gli immancabili occhiali di tartaruga. Fedele a se stesso fino all'ultimo; sempre uguale, sempre distante. Inafferrabile, lontano, misterioso; eppure inevitabile, ovunque, presente più che mai. Un mondo a parte. Come Monk, come Cecil Taylor e Bob Dylan.
Artisti-universo. Di quelli che segnano un prima e un dopo. Nel caso di João Gilberto, scomparso qualche giorno fa a 88 anni, non soltanto per la musica brasiliana. Oltre il mito della bossa nova, al di là di quel canto alieno, introverso, sussurrato, dondolante e ipnotico come la chitarra che lo accompagnava, dei brani cantati e ricantati alla ricerca di un’utopica e impossibile perfezione, sopra tutto e sopra tutti. Sintesi e superamento di una tradizione musicale pulviscolare e complessa, inventore di un Brasile moderno e internazionale.
Raccontare João Gilberto in dieci canzoni non si può: ne basterebbe una, ne servirebbero mille. Ci proviamo comunque.
1. Chega de saudade (1958)
L’anno in cui tutto è iniziato, il brano incipit della bossa nova. Testo di Vinícius de Moraes, musica di Antonio Carlos Jobim. Dopo le prove generali di capolavoro con la versione di Elizeth Cardoso, la genesi di un mito.
2. Doralice (1960)
Un samba scritto e interpretato negli anni Quaranta da Dorival Caymmi, bahiano come Gilberto, autore riverito e frequentato con devota costanza fino alla fine ("Rosa Morena", "Samba da minha terra", "Saudade de Bahia"). Sintesi e superamento, si diceva qualche riga sopra. Il confronto tra le due versioni, l'originale e quella pubblicata da Gilberto su O amor, o sorriso e a flor, dice tutto: nella storia, oltre la storia.
3. Este seu olhar (1961)
Voce e chitarra. Un’altra preziosissima gemma del canzoniere di Jobim resa con dolcezza sconfinata, con disarmante semplicità. Dritta al cuore.
4. The Girl from Ipanema (1964)
L’incontro con il jazz, l’esplosione a livello mondiale della bossa nova, Jobim al pianoforte (di nuovo in coppia con Vinícius de Moraes come autore), il sax tenore di Stan Getz, la voce infantile e sensuale di Astrud, la giovane moglie di Gilberto (al debutto assoluto come cantante). Uno degli snodi fondamentali della musica popolare del Novecento.
5. Águas De Março (1973)
L’anno è il 1973. Il disco, semplicemente João Gilberto (che altro aggiungere?), segna il ritorno in grande stile dopo un lungo periodo di volontario oscuramento (e di pellegrinaggi tra Brasile, Messico e Stati Uniti) seguito alla rottura con Astrud. Il brano? Scritto da Jobim, già cantato (e reso immortale) da Elis Regina (in Italia ci penserà Mina), è genialmente trasfigurato (soprattutto dal punto di vista ritmico e metrico) da Gilberto, capace come pochi altri di fare proprie le musiche altrui.
6. Estate (1977)
I languidi e preziosi arrangiamenti di Claus Ogerman, per il fantastico Amoroso del 1977, avvolgono in un caldo abbraccio di violini e di flauti l'italiano incerto di Gilberto e il classico di Bruno Martino.
7. Retrato em branco e preto (1985)
Sul palco del festival di Montreux, alle prese con un brano del solito Jobim ("Zingaro"), trasformato in canzone da Chico Buarque. Sempre più essenziale, sempre più Gilberto.
8. O pato (1999)
In compagnia di Caetano Veloso, dal vivo, a Buenos Aires nel 1999. Due ore abbondanti mai pubblicate ufficialmente ma facilmente reperibili, con tanto di video integrale su Youtube. Un concerto (giustamente) leggendario, un samba scanzonato di Jaime Silva e Neusa Teixeira che diventa il pretesto per un duetto memorabile.
9. Voçê vai ver (2000)
João voz e violão, l’ultimo disco in studio, prodotto da Caetano Veloso. Voce e chitarra, come da titolo. Di nuovo Jobim, ovviamente. Il resto non serve.
10. Pra que discutir com madame (2003)
Un altro live, stavolta a Tokyo, l’ultimo pubblicato da Gilberto. Alle prese con un samba degli anni Quaranta, con la voce ridotta a un filo sottile e la chitarra a un’ombra danzante. "Melhor que o silêncio, só João", cantava Caetano Veloso. Da lui siamo partiti, a lui torniamo. Il sipario cala, il cerchio si chiude.