Alla Monnaie un favoloso Saltan
Tcherniakov reinterpreta in chiave autistica l’opera di Rimski-Korsakov
L’idea di partenza è un bambino autistico per cui sono più reali le favole che la realtà, che vive praticamente in simbiosi con la madre e che non ha mai conosciuto suo padre. Da questa chiave di lettura il regista russo Dmitri Tcherniakov realizza una messa in scena del capolavoro di Nikolaï Rimski-Korsakov che mescola attualità e fantastico rendendo l’opera estremamente moderna, centrando così in piano l’obiettivo di attualizzarla. Sul modo in cui l’operazione è condotta si può invece discutere. La favola dello zar Saltan firmata Tcherniakov è complessivamente meno riuscita di quel Gallo d’Oro, sempre di Rimski-Korsakov e sempre sotto la direzione musicale di Alain Altinoglu ma con la regia di Laurent Pelly , che nel 2016 alla Monnaie ha registrato unanimi consensi, ma è senza dubbio un’interpretazione molto intelligente ed innovativa, ricca di idee e con un cast di interpreti di livello. La prima perplessità è sulla conduzione di Altinoglu che alla testa di una splendida orchestra, con suoni netti, archi in gran spolvero e momenti solistici davvero rimarcabili, sembra avere voluto deliberatamente accentuare l’aspetto favolistico della partitura calcando a tratti sui colori e, soprattutto, sui forti perdendo un po’ la sfumatura romantica, e ne risente pure il celeberrimo "Volo del calabrone” che in cotanto stile fanfaristico predominante non riesce veramente a spiccare il volo. Tornando alla messa in scena, colpiscono innanzitutto i meravigliosi costumi di Elena Zaytseva per la parte favolistica, di un tessuto trattato in modo tale da sembrare siliconato con splendido effetto bambola che li rende estremamente d’effetto, pur rispettando nell’ispirazione le forme e i decori tradizionali russi. Già solo i costumi fanno entrare nel mondo delle fiabe. La zarina e suo figlio mantengono invece in tutti i momenti i loro minimalisti vestiti d’oggi, in tal modo marcado con semplicità ma efficacia la contemporaneità dei momenti narrativi, perché si tratta di una madre che attraverso la favola cerca di spiegare al figlio autistico che vive in un mondo fantastico tutto suo perché il padre li ha abbandonati. Quasi tutta la prima parte si svolge nel proscenio, quasi fosse un’opera in concerto solo con gli artisti in costume e qualche arredo quali sedie e un paravento, e questo annoia un po’ alla lunga, salvo poi scoprirne il perché quando, oltre il sipario che serve anche da lavagna per scrivere, all’improvviso si svela una nuvola dove si entra alzando un velo e si è dentro la favola, e all’interno giocano la loro parte sia personaggi veri che immaginari. Scene, firmate dallo stesso regista, che si colorano come certe vecchie cartoline acquarellate a mano, arrichite di proiezioni di disegni schizzati che evaporano oppure si animano (bellissimo il calabrone), per raccontare con poesia il viaggio periglioso della madre e del figlio gettati in mare in una botte, l’approdo nell’isola meravigliosa e l’incontro con il cigno. Ottimo il cast con alcuni giovani in primo piano: innanzitutto il tenore ucraino Bogdan Volkov, bella voce e credibilissimo come autistico dai movimenti ossessivi ripetuti e incontrollabili; dal canto dolce, morbido e suadente il soprano russo Olga Kulchynska nella parte della principessa trasformata in cigno; e Svetlana Aksenova, dal bel timbro personale con note basse profonde, che ben rende una zarina giovane ma già assennata, modesta e madre consapevole, solo con qualche piccolissimo, all’inizio, problema di tenuta di fiato nella sua per il resto magnifica emissione. Bravi pure il basso croato Ante Jerkunica nel ruolo dello zar Saltan, voce adatta, melodiosa, e presenza scenica, solo un po’ rigido; e il divertente trio femminile Stine Marie Fischer, Bernarda Bobro e Carole Wilson, rispettivamente nelle parti delle cattive due sorelle, Tkatchikha e Povrarikha, e della vecchia Babarikha. Ottima pure la prova del coro diretto da Martino Faggiani, peccato che la regia lo tenga un po’ troppo nascosto. Per inciso, divertentissimo l’arrivo dei coristi al matrimonio, vestiti d’oggi e signore con borsette. Nel complesso spiace solo infine che un tema delicato come l’autismo sia trattato in modo così solo pretestuoso, ed anche che il lieto fine originale sia completamente rovesciato, con la madre che grida senza voce, come se il regista pensasse che in un’opera attualizzata non ci può essere happy end.
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