La crudeltà in musica di Battistelli 

Al LAC di Lugano va in scena una riuscita nuova versione de I Cenci, per la prima volta in lingua italiana 

I Cenci (@LAC Lugano)
I Cenci (@LAC Lugano)
Recensione
classica
Lugano, LAC Sala Teatro
I Cenci
26 Maggio 2019

Nasce dalla collaborazione fra il Conservatorio della Svizzera Italiana e LuganoInScena per festeggiare la ventesima stagione di 900presente, la rassegna del conservatorio ticinese aperta alla musica nuova, il più recente allestimento de I Cenci di Giorgio Battistelli. A oltre vent’anni dalla prima londinese del 1997, il lavoro di Battistelli arriva sulla scena del LAC di Lugano per la prima volta in una versione in lingua italiana curata dallo stesso compositore, mentre per la prima italiana a Siena nel 2006 si optò per l’originale francese del testo di Antonin Artaud. 

Dopo la recente Beatrix Cenci di Alberto Ginastera presentata a Strasburgo nell’ambito del Festival Arsmondo, non può stupire il ritorno di interesse per una delle più fosche vicende della Roma barocca, quella dell’omicidio di Francesco Cenci per mano dei familiari vessati dalle sue violenze, per gli inevitabili riflessi sulle nostre cronache quotidiane. A differenza dell’opera di Ginastera, più classicamente ancorata alla figura dell’eroina Beatrice e al suo martirologio per mano di una giustizia inflessibile e sostanzialmente ingiusta, il lavoro di Battistelli è un “teatro di musica” legato a doppio filo al lavoro teatrale di Artaud. Il legame si manifesta non tanto nella riproposizione intatta del testo del 1934, che, anzi, è drasticamente prosciugato da inevitabili obsolescenze e stucchevoli arcaismi, quanto piuttosto nel recupero della portata drammaturgica, a suo modo rivoluzionaria, dell’invenzione artaudiana del teatro della crudeltà in uno spazio astrattamente musicale. Uno spazio che trascende e al tempo stesso amplifica quello della parola. Non opera dunque ma “teatro di parola” che, a detta dell’autore, riguarda il legame fra il dramma e lo spazio nel quale viene rappresentato, e ancora “abbiamo diverse dimensioni sulle quali lavorare: la dimensione visiva, la dimensione sonora, e la dimensione del suono nello spazio." 

Restituisce interamente questa idea il bello e intelligente spettacolo firmato da Carmelo Rifici, che la locandina dichiara come versione semiscenica ma che ci è parsa fedelissima allo spirito del lavoro: visioni immerse nella tenebra crudele della Rocca di Petrella Salto, presenze che nascono e svaniscono nella scena vuota grazie alla luce bellissima, disegnata da Pierfranco Sofia, e che due schermi appesi estendono con la distaccata oggettività di una narrazione quasi cronachistica in uno spazio asettico ma con elementi da favola nera (la Beatrice-bella e il padre-bestia). Se la tenebra è il luogo della crudeltà, il martirio di Beatrice è la sua dissoluzione nella luce, quella abbacinante di un muro di proiettori sparati in faccia al pubblico, mentre la parola si scioglie nel suono puro e disperato e si estrinseca con i soli movimenti di un angelo (la performer Marta Ciappina). 

Priva di coordinate definite, la scena è lo spazio della parola recitata dalla voce ruvidamente abrasiva di Roberto Latiniper il padre, da quella limpida di Elena Rivoltini per Beatrice, da quella piegata dall’orrore di Anahì Traversi per la matrigna Lucrezia, e da quella acerba di Michele Rezzonico per l’inetto amante Orsino. La scena è soprattutto il teatro dei suoni— implacabili, tesissimi e spesso “materici” della scrittura intrinsecamente teatrale di Battistelli — suoni che rimbalzano le parole e riverberano in sala grazie alla sofisticata regia sonora di Fabrizio Rosso e all’elettronica live curata da Alberto Barberis e Nadir Vassena. Alla base va comunque segnalato l’ottimo lavoro dei giovani strumentisti dell’Ensemble 900 del Conservatorio della Svizzera Italiana guidati dalla competenza di Francesco Bossaglia

Una sola la recita prevista, ma il pubblico non manca. Risposta calorosa. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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