Il fantastico mondo di Tito
Liegi: perplessità sull’allestimento firmato Roussat&Lubek per l'opera di Mozart
Il duo francese Cécile Roussat et Julien Lubek ha di nuovo trasferito il suo circo d’acrobati all’Opera di Liegi per un allestimento della Clemenza di Tito di Mozart che trasporta la vicenda dalla Roma antica in un mondo fantastico che si vuole insieme primitivo, mitico ed universale, con qualche chiaro riferimento alle scene ed ai trucchi del film Avatar. Se l’idea poteva essere buona e sensata, poiché l’opera di Mozart parla dei valori fondamentali dell’uomo, la sua messa in pratica non è riuscita, le concretizzazioni pratiche non sono coerenti con le premesse teoriche. A parte qualche momento poetico, nel complesso l’eden mitico è noioso a vedersi malgrado la ricchezza dei costumi e le acrobazie dei ballerini e dei (goffi) trampolieri, sempre le stesse che finiscono per essere solo una distrazione inutile e un ostacolo per la godibilità complessiva dell’opera. Solo il buon cast, e a tratti anche l’orchestra, danno un senso allo spettacolo con l’ottima prova, come sempre, del mezzosoprano Anna Bonitatibus nella parte di Sesto, che svetta con la sua esecuzione tecnica di altissimo livello di un ruolo che ormai padroneggia alla perfezione, e questo malgrado canti troppo spesso come contrita e con il costume con le piccole corna che la ridicolizza; il tenore Leonardo Cortellazzi è poi un Tito autorevole e dalla dizione ben scandita e chiara, che da il meglio di sè anche vocalmente quando infine gli si concede di togliersi, senza un chiaro perché, il posteriore equino del bel centauro in cui è stato immaginato; ottima prova anche del giovane belga Markus Suihkonen nei panni di Publio che, immaginato dai creativi Roussat&Lubek come un albero, da qui a Liegi una delle migliori prove di questi suoi primi anni di carriera solistica sfoderando il suo bel timbro con un giusto controllo dell’emissione. Delude invece Patrizia Ciofi, al debutto nel ruolo di Vitellia, con piglio interpretativo sicuro ma con poca voce. Del resto del cast, molto bene Cecilia Molinari malgrado sia trasformata in un Annio con una lunga ala e ai numerosi voli imbracati a cui è costretta; e piacevole da ascoltare pure Veronica Cangemi come Servilia, sopratutto quando è liberata del suo inutile lungo strascisco che le impedisce i movimenti. In un tale carnevale visivo dal senso spesso sfuggente, anche la fruizione della parte musicale risulta frammentata con il direttore Thomas Rösner che regala una brillante ouverture ma poi l’orchestra si appiattisce per riemergere con vividezza di suoni soltanti in alcuni brani. Anche il coro è messo fuori scena, fisicamente sostituito sul palcoscenico dagli acrobati, e canta da alcuni palchi o anche dalla fossa dell’orchestra. Quasi tutto – regia, scene, costumi, coreografie e luci (queste ultime particolarmente banali e brutte) – sono firmate dal duo Cécile Roussat et Julien Lubek, che hanno immaginato al centro del nuovo allestimento una roccia su cui sorge un grande albero che, andando verso il secondo atto, con la consumazione del tradimento dell’amicizia, diventa sempre più una scena spoglia. Per il lieto fine ci si aspetta quindi di vedere almeno un po’ di natura rifiorente, ma anche in questo non c’è coerenza.
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