Matteo Bortone e Travelers + 1, la residenza di Novara Jazz

Debutta il 24 maggio la residenza di Novara Jazz 2019, con il gruppo di Matteo Bortone esteso al tastierista Yannick Lestra: l'intervista

Matteo Bortone Travelers
Matteo Bortone Travelers
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Comincia questa settimana Novara Jazz 2019 (dal 23 maggio al 9 giugno), ma è cominciata, intanto, la residenza: da diversi anni ormai il festival punta su progetti originali affidati a musicisti giovani, da svilupparsi nei bucolici spazi di Cascina Bullona, nei pressi di Magenta.

L'intervista al direttore artistico Corrado Beldì

L'anno scorso è toccato a ImproveU + Emanuele Parrini, e l'anno prima ancora a Ghost Horse, progetto espanso di Hobby Horse che ottimo seguito sta avendo. Quest'anno la curatela, affidata ancora a Enrico Bettinello, punta sul progetto Travelers + 1 – ovvero i Travelers di Matteo Bortone, quartetto franco-italiano ben rodato (Antonin-Tri Hoang a sax alto, clarinetti e Roland SH-101; Francesco Diodati alle chitarre; Matteo Bortone al contrabbasso, basso elettrico, elettronica; Ariel Tessier alla batteria) al quale si aggiungerà le tastiere e il piano Rhodes di Yannick Lestra.

Matteo Bortone, ClarOscuro tra scrittura e improvvisazione

In vista dell'inizio della residenza, che si concluderà il 24 maggio con il concerto finale (a cui seguiranno date al Südtirol Jazz Festival Alto Adige e al Festival InJazz di Rotterdam), abbiamo raggiunto Matteo Bortone per farci raccontare le direzioni del lavoro.

Matteo Bortone

Nel corso della residenza novarese amplierai il progetto Travelers con le tastiere di Yannick Lestra, e hai pensato a un nuovo repertorio. Che cosa ci dobbiamo attendere da questa nuova versione del gruppo?

«Per questa nuova formazione vorrei esplorare l'utilizzo di sintetizzatori ed elettronica, una dimensione comunque già preannunciata sia in Time Images, il nostro secondo album, sia negli ultimi concerti della band. Finora tutto era coordinato dal quartetto, stavolta sarà Yannick Lestra a gestire Rhodes e tastiere mentre io avrò anche laptop e controllers. In questi mesi mi sono immerso quasi completamente nel mondo dell'elettronica e sono molto curioso di vedere come queste nuove sonorità si integreranno nel suono generale. Le composizioni sono tutte nuove e per ora mi è difficile esprimermi ulteriormente su un repertorio mai ancora suonato, dovrò aspettare il resoconto della residenza per avere un’idea più globale!». 

Hai studiato in Francia e conosci bene la scena parigina. Per la tua esperienza, in che cosa sono diversi – se lo sono – i musicisti italiani e francesi della tua generazione, e in che cosa sono simili?

«Credo ci sia una ricerca che, indipendentemente dalla diversità compositiva, accomuna i musicisti italiani e francesi; una spinta a battere territori inesplorati e a staccarsi da un certo tipo di tradizione, concentrandosi sulla ricerca di un’identità e un percorso originale».
«In Francia, il programma didattico del corso di jazz del Conservatorio Superiore include svariate incursioni e collaborazioni con altre musiche: sebbene non fossi iscritto in classe di classica o contemporanea, ho avuto comunque modo di scoprire la musica di Messiaen, di Grisey, di Tristan Murail e la musica indiana, grazie alla realizzazione di progetti di interconnessione tra i diversi dipartimenti. Chissà come sarebbe il corso jazz di un Conservatorio italiano se il programma prevedesse la creazione di lavori intorno alle musiche di Luigi Nono, Giacinto Scelsi, Fausto Romitelli o di Franco Donatoni. Per sua natura il jazz ha sempre attinto da altre realtà per alimentare ed evolvere il proprio linguaggio e le musiche sopracitate hanno un legame molto stretto con l’improvvisazione, mi piacerebbe ci fossero più occasioni di interazione tra questi universi». 

Per questo progetto lavorerai in residenza. Quale valore ha questa pratica nello sviluppo di un progetto?

«È un'occasione a dir poco unica, di questi tempi. Per tre giorni avremo a disposizione spazio e strumenti, circondati dalla natura: sarà il contesto ideale per la creazione di un lavoro ex novo come Travelers+1 poiché ci permetterà di avere tutto il tempo necessario per sviscerare la musica, provare a creare un suono di gruppo ma soprattutto di vivere insieme 24 ore su 24 uno spazio stupendo come la Cascina Bullona di Magenta. Sono molto contento di fare parte di questa residenza creativa e per questo devo ringraziare Enrico Bettinello per aver abbracciato il progetto sulla fiducia e aver creduto nella mia idea musicale».

La versione “espansa” dei Travelers sarà anche, tra fine giugno e inizio luglio, al festival Südtirol Jazz Festival Alto Adige e al Festival InJazz di Rotterdam, che è una delle più interessanti vetrine europee. Cosa ti attendi da un confronto con pubblici e operatori differenti?

«Con i Travelers abbiamo suonato molto all'estero e il responso fino a ora è sempre stato positivo. Spero che suonare a Injazz possa alimentare ulteriormente i feedback e aiutarci a trovare ulteriori contatti per esibirci fuori dall’Italia; uscire dai confini nazionali rappresenta ancora un ostacolo difficile da superare».

Con Novara Jazz hai ancora collaborato per il lavoro con la coreografa Lucia Guarino, Una crepa: nostalgia dell’oro. Ci racconti di questo tuo percorso di incontro con il gesto coreografico?

«È stato cruciale per la mia ricerca artistica: non avevo mai collaborato con la danza, in solo, suonando qualcosa di interamente improvvisato.
Immagino che la passione che ho per il cinema e le arti visive mi abbiano in qualche modo permesso di avere una certa familiarità con il contesto spazio-immagine, fondamentale per questo tipo di spettacolo. Utilizzando oggetti e spostandomi nello spazio, ho la possibilità di partecipare attivamente, liberandomi dal ruolo del solo “musicista in scena”. Durante le nostre residenze di lavoro, ho riflettuto molto sui concetti di gesto, mobilità e timbrica e Una crepa mi permette di analizzare minuziosamente questi aspetti, integrandoli nella pratica dell’improvvisazione, il cui approccio è completamente diverso da una situazione in cui ci sono altri musicisti che ti accompagnano su un palco. Hai più libertà, ma anche più responsabilità, devi accompagnare il movimento ma non esserne la colonna sonora di background, puoi spostarti ma senza interferire, insomma è un progetto impegnativo. Ci abbiamo messo un po’ a trovare un equilibrio ma alla fine ci siamo influenzati a vicenda; prendere spunto l’uno dall’altro, ma anche scontrarsi e “sgambettarsi” a vicenda credo sia l’aspetto più costruttivo della collaborazione con artisti appartenenti a “mondi” differenti». 

 

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