Lear conquista Firenze

Successo per lo spettacolo inaugurale del Maggio diretto da Luisi

Lear
Lear
Recensione
classica
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Lear
02 Maggio 2019 - 09 Maggio 2019

 Il Maggio sembra ritornato agli antichi splendori con Lear di Aribert Riemann che ha inaugurato benissimo l’edizione 2019 del festival fiorentino, nell’edizione dell’Opera di Parigi con la regia di Calixto Bieito ripresa qui a Firenze da Yves Lenoir. Lear nacque per volontà e, si può dire, su richiesta di Dietrich Fischer-Diskau, che voleva quest’opera, e la voleva da questo versatile compositore berlinese nato nel 1936, che era anche suo pianista accompagnatore (ha composto infatti anche Lieder) nonché maestro sostituto alla Deutsche Oper. Il grande baritono, che ne fu il primo interprete a Monaco nel 1978, aveva visto giusto. Riemann ha confermato la sua vocazione teatrale con opere tratte da Strindberg, Euripide, Kafka, Garcia Lorca, Grillparzer, e Lear è diventato uno dei pochi titoli del secondo Novecento ad avere diverse e prestigiose messinscene. 

Data la genesi, ci si aspetterebbe qualcosa sulle orme di un teatro musicale post-espressionista alla Alban Berg, dove troviamo ruoli che furono carissimi a Fischer-Diskau. Ma questa magnifica partitura riserva molte sorprese. L’impronta post-espressionista è forte, anche in certe attitudini vocali, nella prima parte, ma una visione sempre più personale si evidenzia via via che il lavoro procede. Straordinari declamati fermi e quasi liturgici su pedali pulviscolari di percussioni e corde, con la parola sempre nitidamente al centro, interludi strumentali di una qualità di scrittura che ci è sembrata davvero altissima, in cui peraltro si coglie una grande coerenza e limpidezza del materiale, fra cui alcune serie-motivi più volte riproposte, tutto ciò porta oltre le convulse atrocità del teatro elisabettiano, e lo sguardo si alza ad una visione più metafisica, sempre profondamente lirica ma volutamente senza pathos, con una timbratura drammaturgica, oltre che musicale, quanto mai originale.

L’esecuzione era ottima, e al direttore Fabio Luisi va riconosciuto il merito di aver voluto questo Lear a Firenze, con questa messinscena e questo cast. Le scene di Rebecca Ringst delineavano per astrazione minimalista le colonne-alberi-palizzate  di magioni barbariche, foreste e scogliere, e i costumi di Ingo Kruegel ispirati ai ferrigni anni Trenta ci stavano benissimo. Direzione e regia motivavano alla perfezione un cast magnifico vocalmente e scenicamente, dominato dal potente ma sfaccettatissimo Lear di Bo Skovhus, interprete di riferimento dell’opera, ma tutto di grande valore, con le tre sorelle perfettamente delineate nella loro diversità, la cattivissima Goneril della potente Angeles Blancas Gulin, la sorniona Regan di Erika Sunnegardh, la luminosa Cordelia di Agneta Eichenholz, e lasciateci citare anche l’Edgar di Andrew Watts per la sua bravura ma anche per la geniale invenzione di Riemann del doppio registro (controtenore e tenore) con cui si rivela e si nasconde al padre Gloster (l’intenso Levent Bakirci), gli altri, tutti veramente bravi, erano un veterano del teatro del Novecento come Frode Olsen, qui il re di Francia, Derek Welton, Albany,   Michael Colvin, Cornovaglia, Kor-Jan Dusseljee, Kent, Andreas Conrad, Edmund, ma lasciateci segnalare per classe, misura, ironia, profondità di visione la parte parlata del Fool, Ernst Alisch. Teatro pieno e successo vivissimo anche nella terza e purtroppo ultima replica del 9 maggio a cui abbiamo assistito.

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