Il corpo della Cenci nell’era del #MeToo
L’Opéra national du Rhin ripropone la Beatrix Cenci di Alberto Ginastera nell’ambito del festival Arsmondo
Nel corso di vari secoli l’efferata e tragica vicenda di Beatrice Cenci ha alimentato la creatività di letterati e musicisti. L’omicidio ordinato dalla ventiduenne Beatrice e dagli altri membri della famiglia per porre fine alle violenze del padre stupratore Francesco, la successiva condanna a morte della donna e il rifiuto di Papa Clemente VIII di concederle la grazia, dopo aver ignorato la denuncia della giovane, sono stati ingredienti perfetti per racconti a forti tinte ma anche per pamphlet contro una giustizia ingiusta o comunque sorda alle ragioni dei più deboli. E nell’era del #MeToo questa storia di violenza e prevaricazione maschile su una donna non può non far vibrare più di una corda. In questo senso, benché siano passati quasi cinquant’anni dalla prima assoluta del 1971 nel neonato Kennedy Center di Washington, la Beatrix Cenci dell’argentino Alberto Ginastera sembra molto intonata alla sensibilità dei nostri tempi. Partendo dalle Chroniques italiennes di Stendhal eThe Cenci di Percy Shelley, il libretto di William Shand e Alberto Girri tralascia gli aspetti più cronachistici e patetici per abbracciare il punto di vista fortemente soggettivo della vittima senza tuttavia sacrificare una dimensione corale che richiama quella delle tragedie classiche. Il coro, del resto, è una presenza marcante in quest’opera in due atti, che Ginastera ha musicato usando tinte molto fosche, inesorabilmente opprimenti, e compare nei tre snodi cruciali dello sviluppo drammaturgico: l’apertura, la festa-orgia di Bernardo, l’epilogo con il martirio di Beatrice dopo l’estrema e vana supplica ai carnefici: “No, la morte no! Ho paura dell’inferno! Là incontrerò mio padre che si agita fra le fiamme e il suo sguardo fisso e implacabile per sempre.”
Beatrix Cenci arriva per la prima volta in Francia grazie all’Opéra national du Rhin nell’ambito del festival Arsmondo dedicato quest’anno all’Argentina. Argentino è anche il team che ne cura l’allestimento: il regista Mariano Pensotti, alla sua prima regia lirica, e la scenografa e costumista Mariana Tirannte. Sulla scena rotante l’estetica è quella degli anni ’70, quelli della composizione dell’opera ma anche quelli che precedono la svolta autoritaria di molti paesi sudamericani. Pensotti sembra suggerire un’affinità fra quella storia di violenza della Roma barocca e il clima opprimente che precede la tragedia imminente (anche) del suo paese. Più suggestiva è la rappresentazione del corpo della protagonista, fatto letteralmente a pezzi sulla scena dopo la violenza, tenuto insieme da protesi meccaniche, che, da un lato, ne sottolineano la fragile precarietà e, dall’altro, la “reificazione” del suo corpo di donna.
Un certo intellettualistico distacco della messa in scena si ritrova anche nell’esecuzione musicale guidata da Marko Letonja alla testa dell’Orchestre philharmonique de Strasbourg, complesso strumentale molto versato nella produzione contemporanea. Si tratta di un’esecuzione che ha comunque la sua principale qualità nella limpida resa della complessa trama sonora di Ginastera fra serialismo, arcaismi rinascentisti e influssi etnici. Più problematica la dimensione vocale, all’insegna di una certa ripetitiva monotonia, con qualche parentesi efficace di Sprechgesang. Nondimeno, la protagonista Leticia de Altamirano riesce con brevi ma intensi monologhi a aprire squarci lirici nella tensione costante del paesaggio sonoro. Più uniforme il trattamento riservato agli altri personaggi, aspetto che pone qualche difficoltà agli interpreti quando si tratta di lasciare un segno interpretativo visibile. È il caso del padre Francesco di Gezim Myshketa, della matrigna Lucrecia di Ezgi Kutlu e del giovane fratello Bernardo di Josy Santos e degli altri. Paradossalmente, risulta più riuscito il parlato dei sicari Olimpio e Marzio, rispettivamente Thomas Coux e Pierre Siegwalt. Vigorosi gli interventi del Coro dell’Opéra national du Rhin preparato da Alessandro Zuppardo.
Qualche vuoto in sala alla prima ma risposta calorosa.
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