Ad Amsterdam l’opera guarda avanti
La prima europea di Girls of the Golden West di John Adams apre il quarto Opera Forward Festival dell’Opera Nazionale
Grandi nomi quest’anno nel cartellone di Opera Forward Festival, “isola” dedicata al teatro musicale contemporaneo nel programma della De Nationale Opera di Amsterdam. A Amsterdam arrivano l’ungherese György Kurtág con il personalissimo omaggio a Beckett di Fin de partie nella stessa produzione scaligera, l’olandese Micha Hamel con il suo Caruso a Cuba, che racconta i giorni in cui si persero le tracce del tenorissimo Enrico Caruso in fuga dopo l’esplosione di una bomba nel Teatro Nacional dell’Havana come nel romanzo Il messaggero della cubana Mayra Montero, e gli irlandesi Donnacha Dennehy e Enda Walsh con il music-thriller The Second Violinist, che esamina nella psiche tormentata di un violinista assorbito in una spirale di social media, brutali videogames e alcol.
Apertura in grande con Girls of the Golden West, la nuova opera di John Adams e Peter Sellars, presentata in prima europea nello stesso allestimento del debutto a San Francisco nel novembre del 2017 e con quasi lo stesso cast vocale.
Se Blue Soldier e A Man Called Horse nell’ormai lontano 1970 aprì a una giusta riconsiderazione del ruolo dei nativi e dei crimini dei coloni neo-americani nel cinema hollywoodiano, Adams e Sellars iniziano la loro personale crociata anche nell’opera, a oltre un secolo dal Puccini americano de La fanciulla del West e la sua ingenua celebrazione eurocentrica dell’epopea della Gold Rush. Decisissimo a pareggiare i conti con una storia che ha cancellato le molte vittime di quella guerra di conquista e di sfrenato sfruttamento di risorse, Peter Sellars compone un affresco corale in un villaggio di minatori della Sierra Nevada intorno al 1850. Arrivata avventurosamente dal New England, Dame Shirley si confronta con la vita di quel villaggio di soli uomini bianchi, pronti a scatenare una violenza cieca contro i molti diversi: la prostituta cinese Ah Sing, lo schiavo nero emancipato Ned Peters e la cameriera cubana dell’Empire Josefa Segovia, che, stuprata dal minatore Joe Cannon, reagisce uccidendolo e viene impiccata dopo un processo sommario. Ideologia a parte, Puccini pare abbia ancora molto da insegnare specie sul piano della resa drammatica. Il libretto di questa versione aggiornata e molto “politically correct” della conquista del West secondo Sellars soffre di un marcato schematismo e di un didascalismo che pesa sulla presa drammatica del lavoro e ne smorza la forza anche politica. Né giova troppo il trattamento musicale di John Adams, orchestratore raffinatissimo e abile nel creare atmosfere sonore di grande fascino, ma che resta fedele a un lessico musicale che si articola nell’iterazione di cellule melodiche (quando non di interi numeri) e procede per blocchi sostanzialmente slegati senza vera dinamica drammatica. Prima ancora che i momenti di massa (la “furia” dei minatori) piuttosto meccaniche nella costruzione, più efficaci sono le numerose parentesi monologanti, veri e propri numeri chiusi dal carattere marcatamente lirico, nei quali si manifesta il sentire più intimo dei vari personaggi.
Dismessi oramai da lungo tempo i panni del provocatore che lo fece conoscere al mondo, Peter Sellars cura anche la regia secondo il suo modo più recente, ossia all’insegna di un minimalismo narrativamente molto lineare. Piuttosto sobrie sono anche le scene di David Gropman, che riassumono in pochi elementi scenici, mossi a vista, i segni fondanti dell’immaginario collettivo del Far West. Insistono anche sull’immagine classica da western i costumi di Rita Ryack.
Molto affiatato il cast vocale per un lavoro che ha una forte componente corale ma non sacrifica le individualità. Si impongono soprattutto la Dame Shirley di Julia Bullock e anche di più l’intenso Ned Peters di Davóne Tines, molto incisivo nel dare voce alla rabbiosa sofferenza dell’ex schiavo. Più convenzionali i ritratti dello strupratore violento Joe Cannon di Paul Appleby e del sodale Clarence di Ryan McKinny, così come quelli della vittima Josefa Segovia di J’Nai Bridges, mai davvero protagonista nemmeno nella scena del martirio, e del piuttosto incolore fidanzato Ramón di Elliot Madore. Incisivo invece il ritratto della prostituta cinese Ah Sing che sogna il riscatto esistenziale fatto da Hye Jung Lee, nonostante il personaggio resti un po’ irrisolto nel lavoro. Buona anche la prova del Coro dell’Opera Nazionale Olandese impegnato in una scrittura dal carattere piuttosto convenzionale. Di spessore la prestazione della Rotterdam Philharmonic Orchestra diretta da Grant Gershon con grande senso ritmico e gusto coloristico.
Silbersee è una realtà produttiva olandese per teatro musicale non ortodosso e opera sperimentale, nata nel 2014 come evoluzione dell’esperienza del VocaalLab fondato da Romain Bischoff e Bärbel Kühn nel 2002. L’interdisciplinarietà è nelle sue corde come l’operare in location insolite, non necessariamente teatrali, rivolgendosi a un pubblico non solo di insider. Co-prodotto nel 2017 dall’ultima Ruhtriennale diretta dall’olandese Johan Simons, Homo Instrumentalis è il prodotto più recente e viene riproposto nell’ambito dell’Opera Forward Festival nello spazio industriale del Westergastheater. Il lavoro nasce come riflessione attorno alla questione fondamentale se l’uomo abbia ancora il controllo sulla tecnologia che egli stesso ha creato. I quattro capitoli in forma evolutiva – “L’uomo creatore”, “L’uomo industriale”, “Il cyberuomo” e “Oltre l’uomo?” – presentano in sequenza le elaborazioni elettroniche di Yannis Kyriakides per Ode to Man con un testo tratto dall’Antigone di Sofocle, quelle proto-sperimentali de La fabbrica illuminata di un militante Luigi Nono datato 1964 con testi di Giuliano Scabia e Cesare Pavese, i disarticolati sintagmi e le insensate sequenze lessicali “fuori contesto” di Machinations di Georges Aperghis del 2000 in una nuova folgorante versione, e di nuovo Kyriakides per la chiusura cosmica con la seconda sequenza di Ode to Man che elude la risposta al quesito fondante.
A parte uno schermo mobile semitrasparente per le evocative proiezioni, la scena è tutta per gli otto eccezionali performers, che sono le vocalist Jennifer Claire van der Hart, Eléonore Lemaire (davvero fenomenale in Aperghis), Rianne Wilbers e Fanny Alofs con il break dancer Carl Refos e gli altri danzatori Johanne Saunier, Jorge Morro e Miguel Ángel Gaspar.
Per un festival che programmaticamente guarda avanti, imprescindibile lo spazio ai giovani con workshop, incontri e insoliti palcoscenici in spazi diversi dell’edificio dell’Opera nazionale affacciato sull’Amstel per le “Talentopera” firmate da studenti da diverse scuole di musica del paese. Uno scalone che porta verso un metaforico sottosuolo è l’ambiente scelto dal regista Leon Rogissart per On verra di Julian Oliveira, entrambi studenti del Conservatorio de L’Aja. Un anziano chiama e incontra un bambino che lo accompagna nella discesa incrociando figure che dal quel sottosuolo risalgono. L’espressione vocale è ridotta pressoché a unisoni che vogliono esprimere una sorta di legame, rinforzato anche dall’ensemble di clarinetti, ma non manca a questa una certa forza evocativa. Più elaborata Alma grande di Nuno Lobo del Conservatorio di Amsterdam con la regia Stijn Dijkema e le scene Tamara Schneider, dell’Accademia di Teatro e Danza di Amsterdam. Il pubblico è rinchiuso fra pareti di tela su cui si proiettano ombre del passato di un uomo nell’ultima fase della vita. Come nel romanzo omonimo di Miguel Torga che ispira il lavoro, si parla del Portogallo del XVI secolo e delle oppressioni degli ebrei obbligati a vivere di nascosto la loro cultura e la loro fede. Nello spartano allestimento la suggestione viene soprattutto dalla musica ispirata a motivi popolari e religiosi ed eseguita dai bravi giovani coristi del Kammerkoor Fontys del Conservatorio di Tilburg accompagnati da un piccolo ensemble strumentale.
Lezione di eccezione, infine, per gli tutti i numerosi studenti presenti nel primo giorno “off” del festival: in un seguitissimo e ispirato discorso di 45 minuti, Peter Sellars ha parlato del potere consolatorio delle arti e della musica in particolare, terapia fondamentale in tempi dominati dalla paura e dalla ricerca di facili scorciatoie, che spesso hanno l’odore sgradevole del fascismo.
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