La forza dell’intolleranza

All’Oper Frankfurt Tobias Kratzer porta in scena La forza del destino di Verdi 

La forza del destino ( Foto Monica Ritterhaus)
La forza del destino ( Foto Monica Ritterhaus)
Recensione
classica
Oper Frankfurt
La forza del destino
27 Gennaio 2019 - 26 Marzo 2019

Deve avere un’autentica passione per il cinema il regista Tobias Kratzer. Dopo una Africaine in versione Avatar (nel senso del film di James Cameron), per il suo nuovo allestimento della verdiana Forza del destino punta all’antologia di un secolo di cinema americano. Che c’entra l’America con Verdi e la turbolenta Spagna e Italia del XVII secolo che fanno sfondo al drammone? Poco, ma in comune hanno un marcato razzismo e una incrollabile intolleranza al diverso (ben più antichi che nell’era trumpiana). Nella fattispecie, “l’indo maledetto” Alvaro macchia il sangue puro dei Calatrava e per questo va punito dalle forze della conservazione, soprattutto il braccio armato della Chiesa. Questo è l’assunto di base della messa in scena, che si serve di moltissime immagini di classici del muto da Griffith in poi già a sipario ancora calato durante la celebre sinfonia e ispira scene e costumi firmati da Rainer Sellmaier, che riprendono mimeticamente le immagini dei video citazionisti di Manuel Braun: un interno di Via col vento per il cruento inizio a casa Calatrava, un affollato saloon nell’America sudista con show della soubrette Preziosilla per la taverna di Hornachuelos, una cricca di adepti del Ku Klux Klan per i solitamente bonari francescani del convento della Madonna degli Angeli, il Vietnam di Apocalypse Now per il bosco nei pressi di Velletri con tanto di innesto del Cacciatore (ossia la crudele roulette russa di Preziosilla in versione coniglietta Playboy con vittima vietnamita), e poi un emporio della solidarietà con i volontari Padre Guardiano e da Melitone che distribuiscono cibo ai poveri davanti alle statue di Obama e Michelle in stile Madame Tussaud, e infine una squallida stanza di motel per la carneficina del finale, sulla quale mettono il sigillo ancora una volta il Padre Guardiano e Melitone (ossia colui che apostrofa i bisognosi con “pezzenti più di Lazzaro, sacchi di pravità”). Sulle note del finale originale di San Pietroburgo, i due religiosi vestiti da poliziotti giustiziano a freddo l’odiato meticcio e manipolano la scena del delitto per incolpare la loro vittima della strage dei Calatrava, mentre in tv scorrono le immagini dei fatti di Ferguson. Troppo? Forse. Ma come sempre, al Kratzer regista interessa soprattutto che il racconto fili e sia molto sapido. Dunque, trovate sensazionali e una buona dose di goliardia oltre a lepidezze piuttosto grevi sono i consueti ingredienti delle sue produzioni. E qui andrà detto che il turgido melodrammone verdiano e ancora di più l’Angel Pérez de Saavedra della fonte, con tutti i suoi colpi di scena, le improvvise sterzate drammaturgiche, ma anche gli sbandamenti e le lungaggini, sembra prestarsi al gioco. 

 

Sul piano musicale, il direttore Jader Bignamini già dalla sinfonia, nella quale fa risaltare più un preziosismo di scrittura solitamente sepolto nella routine, si distingue soprattutto sia per l’attenta cura del dettaglio strumentale (scelta che premia gli ottimi strumentisti, e particolarmente i fiati, della Frankfurter Museumorchester) sia per l’equilibrio agogico con la scena. In questa attenzione certamente apprezzabile, tuttavia, l’enfasi drammatica viene sacrificata, specialmente nei passaggi in cui protagonista assoluto diventa l’interprete (e nonostante il suo carattere ibrido, anche La forza del destino non ne è certo priva). 

Ovvio che su questo piano anche la locandina messa insieme a Francoforte gioca un ruolo cruciale. Va detto che voci autenticamente verdiane mancavano nell’eterogeneo cast, che comunque poteva contare sulla rodata disinvoltura scenica dell’esuberante Christopher Maltman, un Don Carlo spiccatamente guascone, e sulla marcante presenza di Franz Josef Selig nel doppio ruolo del Marchese di Calatrava e del Padre Guardiano, simboli viventi dell’eterna intolleranza.Michelle Bradley è un’interprete giovane ma di promettenti mezzi vocali che amministra con generosità, ma il suo ritratto di Leonora manca di varietà espressiva. Decisamente scadente, invece, la prova di Hovhannes Ayvazyan come Don Alvaro, che non va al di là della maniera tenorile senza essere nemmeno sostenuto da un timbro gradevole. Se Tanja Ariane Baumgartner se la cava più che onorevolmente come Preziosilla pur non avendo davvero la tempra della soubrette, Craig Colclough è un Fra Melitone per nulla comico e ben intonato alla chiave registica che lo disegna come il braccio armato del Padre Guardiano. Nulla da segnalare negli altri ruoli minori, mentre di particolare rilievo è la prova del Coro dell’Oper Frankfurt

Pubblico folto alla seconda recita e applausi calorosi (per la cronaca, nessun dissenso percettibile nei confronti del team registico come alla prima). 

 

 

 

 

 

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