Una Lucia nordica, tempestosa e romantica
A Pisa un’interessante interpretazione del capolavoro di Donizetti
Fino agli anni Cinquanta la Lucia di Lammermoor veniva rappresentata a Pisa circa ogni cinque anni e anche più spesso, poi ogni dieci, ora ogni venti: è la conseguenza della diminuzione generale degli spettacoli d’opera ma è soprattutto il segno che è diventata un’opera sempre più difficile da rappresentare, perché scarseggiano i cantanti in grado di eseguire adeguatamente ruoli impervi come Lucia ed Edgardo. Quest’allestimento dimostra che Lucia si può fare – e bene – anche senza grandi voci. È uno spettacolo intelligente: poiché in questi tempi tale aggettivo è diventato sospetto, preciso che non significa intellettualistico e tanto meno “se non capisci, peggio per te”. È intelligente perché ha un’idea globale alle sue spalle e sa realizzarla, senza scommettere tutto sui singoli cantanti, tanto che, ammalatasi la protagonista dopo la prova generale, non ha patito troppo la sostituzione.
Se c’era un protagonista intorno a cui ruotava questa Lucia, era Michael Güttler. Non è un direttore alle prime armi ma neanche un vecchio routinier, sale regolarmente sul podio della Staatsoper di Vienna e del Marinskij di San Pietroburgo, dirige soprattutto Wagner e in generale il repertorio tedesco, ma anche quello russo, e solo talvolta quello italiano. Non ha pensato per un momento che il suo compito si limitasse ad accompagnare più o meno bene i cantanti e ha dato all’orchestra un ruolo molto più incisivo, facendo sentire che Donizetti non era affatto approssimativo nelle sue orchestrazioni – e questo lo si sapeva, altro che Dozzinetti! – e soprattutto portando in primo piano un piglio dell’orchestra che non sospettavamo. Il prevalere dei timbri scuri - in particolare i corni erano in grande rilievo - e i momenti furenti accentuati da Güttler con stacchi di tempo veloci hanno reso molto più energico e drammatico Donizetti, generalmente considerato soprattutto lirico, delicato, perfino languido. Così in questa Lucia non solo si è ascoltato il romanticismo “moderato” all’italiana delle estasi e delle pazzie d’amore, ma si sono anche percepite chiaramente un’atmosfera cupa e violenta e un sentore di forze oscure, irrazionali e minacciose che sovrastano gli umani, cose da romanticismo “estremista” nordico. (Sarà un’allucinazione dovuta all’aver ascoltato il giorno prima L’olandese volante a Firenze, ma mi è sembrato di scoprire remote e tuttavia reali affinità tra queste opere quasi contemporanee). Güttler sapeva di avere a disposizione l’ottima Orchestra della Toscana e che quindi quest’accentuazione dei timbri, delle dinamiche e dei tempi sarebbe stata gestita con la misura e esattezza dovute. Bena anche il Coro Ars Lyrica.
La croata Marigona Qerkezi era arrivata a Pisa il giorno precedente la prima, quindi è comprensibile che nei primi minuti fosse un po’ tesa, ma la sua Lucia è andata crescendo. Seppure leggermente metallico, il registro acuto non le manca (ha esordito come Regina della Notte) e quindi risolve senza patemi la scena della follia, dove è stata ripristinata l’armonica a bicchieri col suo suono arcano e immateriale: un segno dell’attenzione alle reali intenzioni del compositore, così come la riapertura di alcuni tagli e l’abolizione di alcuni vezzi tradizionali. Ma è soprattutto nei momenti di maggiore drammaticità che la Qerkezi è veramente piaciuta, raggiungendo grande intensità ma senza sottolineature eccessive, grazie a un registro medio pieno e timbrato. Alessandro Luciano è un tenore di buona scuola italiana, ma anche un interprete un po’ generico, come tanti tenori italiani, però ha gusto e non va mai fuori stile: un buon Edgardo. Alessandro Luongo è stato probabilmente scelto in virtù dei suoi trascorsi mozartiani e rossiniani: ottima scelta, perché il suo Enrico è un personaggio negativo, un vilain- così si dice - ma non un villano da opera verista. Molto bene anche il Raimondo del giovane e promettente Andrea Comelli, l’Arturo di Carlos Natale e l’Alisa di Valeria Tornatore.
Il regista Stefano Vizioli (scene realizzate su bozzetti di Allen Moyer) era complice del direttore nel mettere in evidenza la violenza e la cupezza della vicenda, con una recitazione essenziale che eliminava il superfluo e metteva in evidenza i nodi drammatici, in un’atmosfera nera (tranne la neve dei gelidi esterni invernali scozzesi) attraversata da tagli di luci caravaggeschi (di Michele Della Mea). Ottimo spettacolo e ottimo successo.
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