Lo splendore vocale dei King’s Singers
Perfezione e humour nel concerto milanese per celebrare 50 anni di attività
Serata speciale quella offerta dai King’s Singers a Milano, nell’unica tappa italiana del loro tour per festeggiare cinquant’anni di attività. Poche note e l’acustica asciutta ma perfetta della Sala Verdi del Conservatorio ha consentito al pubblico di rendersi immediatamente conto che stava per assistere a un evento che aveva del magico: poter percepire un suono che si espandeva liberamente in tutte le direzioni, grazie alla purezza di sei voci in grado di esprimere un pensiero musicale sempre suggestivo, profondo e impeccabile. Un’esperienza d’ascolto preziosa come il metallo – “Gold. Great music must shine” è il titolo del tour e del triplo album uscito contemporaneamente – preso a simbolo per celebrare mezzo secolo di storia. Era infatti il 1968 quando sei studenti del King’s College di Cambridge fondavano l’ensemble destinato a diventare uno dei più popolari gruppi ‘a cappella’, prima in Gran Bretagna e poi sulla scena internazionale.
Programma all’insegna della grande varietà – come annunciato direttamente da uno dei componenti del gruppo – con brani da tutto il mondo e di differenti epoche. E qualsiasi cosa passi per le loro mani – anzi, le loro voci – diventa coinvolgente, stupisce, commuove, diverte. Che i sei cantanti siano peraltro molto sensibili al fattore divertimento lo hanno testimoniato sia le presentazioni (in un buon italiano peraltro) con cui a turno si sono rivolti al pubblico o sia soprattutto il senso dello humour che hanno manifestato in più occasioni durante le loro esecuzioni, quasi una sorta di contrappeso al rigore con cui affrontano la complessa scienza della polifonia. Da Orlando di Lasso fino agli immancabili Beatles di Penny Lane, passando per autori del XX secolo che spesso hanno scritto appositamente per il gruppo, il gesto artistico dei King’s Singers è stato sempre quello di presentare la perfezione in modo garbato, da veri e propri ‘gentlemen’ della musica. Facendo dell’arrangiamento una chiave di volta del loro repertorio, visto che accanto a pagine pensate originariamente proprio per un gruppo vocale, hanno eseguito non pochi brani rivisitati, sia per adeguarli al loro organico sia per fornire nuovi punti di riferimento stilistici all’ascoltatore. Come quando hanno interpretato un brano da Porgy and Bess di Gershwin o si sono trasformati in una efficientissima jazz band strumentale. Se con l’incredibile Time Piece di Paul Patterson i sei hanno ironizzato magistralmente sull’ossessione del tempo scandito dagli orologi, forse il momento più trascinante è stato al termine del concerto, quando hanno proposto la loro irresistibile versione del finale della Sinfonia dal Guglielmo Tell di Rossini. Doveroso omaggio di chi festeggia cinquant’anni a chi ne celebra centocinquanta.
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