Juke-box Offenbach 

Concluso a Venezia il ciclo autunnale del Palazzetto Bru-Zane dedicato al celebre compositore di operette del Secondo Impero e alla Parigi della musica leggera 

Offenbach colorature
Offenbach colorature
Recensione
classica
Venezia, Scuola grande di San Giovanni Evangelista / Palazzetto Bru-Zane
Jacques Offenbach e la Parigi della musica leggera 
03 Ottobre 2018 - 28 Novembre 2018

Non è certo una riscoperta quella al centro del festival veneziano d’autunno che il Palazzetto Bru-Zane ha dedicato quest’anno a Jacques Offenbach in leggero anticipo sul bicentenario della nascita in programma nel 2019, che vedrà un grande impegno del Palazzetto nella capitale francese in numerosi appuntamenti con la “figlia discola” dell’opéra comique (definizione di Camille Saint-Saëns) a firma di Jacques Offenbach ma anche degli altri operettisti più o meno noti del Secondo Impero nel festival parigino di giugno e nel rinato Théâtre Marigny. Ai più raccolti spazi veneziani il Palazzetto ha riservato invece un variegato programma in dieci appuntamenti su scala ridotta ma di grande interesse dedicati a Offenbach e alla Parigi della musica leggera. Da che mondo è mondo musica leggera vuol dire canzone e di musica vocale abbondava il programma del festival: canzonette da caffè-concerto ma soprattutto moltissimi brani da operette di Offenbach ma anche, come nel gala di apertura, di Serpette, Audran, Varney, Lecocq e ovviamente Hervé, presenza frequente nei programmi del Bru-Zane. Praticamente un juke-box di metà Ottocento all’insegna della leggerezza. 

Voci a parte, nel programma trovava anche spazio la musica strumentale, curiosamente assemblata con più libertà rispetto al tema del festival, sia nel programma del pianista Philippe Hattat impegnato in un’antologia francese di tardo ottocento sul movimento ternario del valzer, che tracimava anche nel programma a quattro mani di Lidija e Sanja Bizjak. Rigorosamente offenbachiana invece la serata con i due bravi violoncellisti Henri Demarquette e Aurelién Pascal, che proponevano i tre pezzi dell’ultimo libro del Cours méthodique de duos pour deux violoncelles. Composte fra il 1839 e il 1855 come lavori didattici di difficoltà progressiva, dai due “Duos très facile” fino ai tre “Grand duos très difficiles”, si tratta di autentiche suites da concerto che testimoniano della passione giovanile di Jacques Offenbach per il violoncello, di cui fu autentico e riconosciuto virtuoso, esibendosi con pianisti del calibro di Franz Liszt e Anton Rubinstein e collaborando anche con Felix Mendelssohn e Friedrich von Flotow. Il dialogo strumentale fra i due violoncelli, trattati alla pari, scorre fra temi di leggiadra cantabilità e di riflessivo intimismo quando non si scatena in virtuosistici movimenti di danza, sfruttando pienamente la gamma espressiva e la versatilità dello strumento più vicino alla voce umana. 

Si tornava alla musica vocale per gli ultimi due concerti del ciclo. In “Offenbach colorature” nella monumentale Sala capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista la soprano Jodie Devos, con l’accompagnamento dei quattro strumentisti dell’Ensemble Contraste, cioè Arnaud Thorette alla viola, Antoine Pierlot al violoncello, Jean-Luc Votano al clarinetto e Johan Farjot al pianoforte e autore degli arrangiamenti, proponeva un esauriente campionario delle diverse sfaccettature del soprano di coloratura attraverso un’esauriente antologia di ruoli offenbachiani. Si passava dal virtuosismo estremo della scatenata e beffarda soubrette “La” Corilla di Vert-Vert (“I più bei versi sono sempre insulsi / e non valgono i nostri gorgheggi. / Qualche ah è tutto ciò che mi serve / sono inutili anche i versi dei migliori poeti, / tanto non ci si capisce niente”) e della verduraia Ciboulette delle Mesdames de la Halle ai colori più lirici della romanza “Voilà toute la ville est en fête” di Elsbeth nel Fantasio e ai patetismi della romanza “Le voilà … c’est bien lui” della principessa Rosée-du-Soir del Roi Carotte, quando non si volteggiava sulle note di un valzer come l’Edwige del Robinson Crusoé e magari con innesti jodel come quelli della Rosita di Un mari à la porte. Non mancavano le pagine più celebri come l’aria d’Olympia dei Contes d’Hoffmann (bissata), nella quale Offenbach si fa beffe dei parossismi vocali “inumani” di molte primedonne dell’epoca, e i distici de “La morte m’apparaît souriante” nei quali un’Euridyce morente esprime il sollievo di liberarsi finalmente del peso dell’insopportabile coniuge Orphée. Jodie Devos era davvero bravissima nel porgere con spirito autenticamente francese, ossia con la leggerezza e il sorriso, quei versi e quelle linee vocali non di rado impervie. Non meno brillante e spiritoso era il quartetto che l’accompagnava inframezzando alle applauditissime esibizioni della Devos intermezzi strumentali, che, accanto a brani celeberrimi come la barcarola dei Contes d’Hoffmann o il galop infernal dell’Orphée aux Enfers, ripescavano anche la piccola gemma strumentale de Les larmes de Jacqueline dal passato del virtuoso di violoncello (con Flotow, per questo pezzo). 

Ancora canto e ancora operetta ma non solo Offenbach in “Arie di bravura”, il concerto di chiusura del ciclo nel Palazzetto Bru-Zane. Sul palco la soprano Jeanne Crousaud, all’inizio un po’ altera ma poi disinvolta come una consumata soubrette, e il pianista Tanguy de Williencourt, anche lui col cipiglio del concertista malgrado le sublimi sciocchezze del programma (e in recupero con i due numeri del Tombeau de Couperin di un Ravel “di sorbetto”). Anche in questo concerto l’antologia era molto varia e spaziava dall’Offenbach noto de Les BrigandsOrphée aux EnfersLa Vie parisienne a quello meno noto de La jolie parfumeuse e Le voyage dans la lune. Andava però anche oltre Offenbach, pescando dal meglio dell’opéra comique coeva con il Chabrier de L’étoile e dell’operetta con Hervé, André Messager (di cui veniva proposta e bissata la spiritosa “J’ai deux amants” con quel sarcastico refrain: “Mon Dieu, que c'est bête un homme / Alors, vous pensez … deux!”), Louis Varney, Charles Lecocq per spingersi fino al Novecento e ai ritmi americani di Yes! del Maurice Yvain, anche prolifico autore di canzoni per Maurice Chevalier e Mistinguett. Messager a parte, l’altro bis era dedicato alla Venezia morente di Reynaldo Hahn, che con quella sua Barcheta spinta dal vento su quelle acque scure sembra chiudere definitivamente con la frenetica e vitale spensieratezza del Secondo Impero e già presagire la catastrofe in arrivo. 

 

 

 

 

 

 

 

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