Il flauto magico è un cartone animato

Arriva dalla Komische Oper di Berlino questa edizione dell’ultima opera di Mozart, che è ormai un successo internazionale

Flauto magico opera di Roma
Foto di Yasuko Kageyama
Recensione
classica
Roma, Teatro dell’Opera
Il flauto magico
10 Ottobre 2018 - 17 Ottobre 2018

In Italia diremmo che questa è la Zauberflöte del regista Barrie Kosky (QUI l'intervista), ma lo spettacolo viene dalla Germania – precisamente dalla Komische Oper di Berlino, dove è andato in scena nel 2012 – quindi le cose non sono così semplici.

Ci sono i video – che hanno una parte determinante nello spettacolo – di Paul Barritt e c’è l’ideazione del gruppo 1927, i cui membri sono lo stesso Barritt e Suzanne Andrade, la quale è anche indicata in locandina come regista, accanto a Kosky. Naturalmente ci sono le scene – praticamente inesistenti: una parete liscia, su cui vengono proiettati i video – e i costumi di Esther Bialas e le luci di Diego Leetz. E poi c’è Ulrich Lenz, il “Dramaturg”, questo personaggio un po’ misterioso per noi italiani: in genere è colui che consiglia, guida e un po’ anche controlla gli artefici dello spettacolo e probabilmente in questo caso è anche colui che ha riscritto totalmente le parti parlate del Singspiel mozartiano.

Flauto Magico - Foto di Yasuko Kageyama
Foto di Yasuko Kageyama

Abbiamo voluto nominare tutti perché in effetti lo spettacolo nasce da una stretta collaborazione tra tutti i suoi artefici e da una completa interrelazione tra tutte le sue parti, giungendo a risultati inediti. Ma non lasciatevi spaventare da questo intrico di funzioni e responsabilità, perché lo spettacolo è indubbiamente complesso per quel che riguarda la realizzazione tecnica ma il risultato finale non soltanto è facilmente fruibile senza farsi venire il mal di capo ma è quasi infantile. Il che non è limitativo, trattandosi in fin dei conti di una favola. Kosky – gira e rigira è lui il regista e questo spettacolo va in giro per il mondo come "il Flauto magico di Kosky" – non parla di favola e piuttosto dice dice che gli spettacoli messi in scena da Schikaneder nella sua qualità di impresario e librettista erano una sintesi di cabaret, vaudeville e teatro musicale leggero e il pubblico ci andava per divertirsi con le improvvisazioni e i gli effetti sorprendenti. 

Ma insomma, com’è concretamente questo Flauto magico? È un cartone animato in cui i cantanti stessi devono inserirsi come se fossero anch’essi parte dei disegni animati, il che richiede movimenti precisi al millimetro. Per esempio, nella prima scena Tamino corre terrorizzato, mentre intorno a lui vorticano minacciosi gli alberi del nero bosco e vola uno spaventoso drago rosso. Ma in realtà Tamino è immobile: le gambe che corrono all’impazzata sono disegnate e del Tamino in carne e ossa vediamo soltanto la parte superiore. Non è chiaro? Allora proviamo con la Regina della Notte: di lei vediamo unicamente la testa, inserita nel corpo di un enorme ragno nero, le cui lunghe zampe in continuo movimento si estendono a tutto il palcoscenico. Papageno è sempre accompagnato da un gatto nero, che fa tanta tenerezza, perché è solo e nessuno lo vuole, proprio come Papageno. In questo Papageno si può anche riconoscere qualcosa di Buster Keaton, il comico triste del cinema muto, che non rideva mai. Già, perché questo Flauto magico è un cartone animato e allo stesso tempo anche un film muto: i parlati sono infatti sostituiti da grandi cartelli neri su cui si legge il testo, esattamente come quelli di un film muto, commentati dal vivo da un vecchio pianoforte, che suona la Fantasia in re minore e altre musiche di Mozart. 

Tutto è molto leggero e fantasioso, ma anche un po’ riduttivo. D’accordo che, come dice Kosky, Il Flauto magico non è il Parsifal  ma anche le favole – ormai lo abbiamo imparato – hanno dei risvolti misteriosi, irrazionali, che toccano corde segreto della nostra psiche: di questo non resta quasi nulla. Però è divertente e si trascorrono quasi tre ore molto piacevoli. È molto? È poco? Ognuno giudichi da sé.  

Flauto Magico - Foto di Yasuko Kageyama
Foto di Yasuko Kageyama

L’esecuzione musicale non passerà alla storia ma è indubbiamente pregevole. Henrik Nánási è accurato, garbato, insomma un direttore proprio ammodo: un po’ di fantasia e qualche approfondimento in più non avrebbero guastato. Eccellenti Amanda Forsythe (Pamina) e Juan Francisco Gatell (Tamino). Chistina Poulitsi, che solo un paio di anni fa era una Regina della notte meravigliosa, ha ora (forse non era in ottime condizioni) alcune note un po’ vuote, ma è ancora spettacolare quando la coloratura si fa vertiginosa e stratosferica. Il Papageno tenero più che comico di Alessio Arduini è ben centrato vocalmente e scenicamente. Lo stesso dicasi di Marcello Nardis, soltanto che lui naturalmente è perfido come deve essere Monostatos. Bene, al di là di qualche sonorità un po’ cavernosa, il Sarastro di Luigi Buratto. Nella norma la Papagena di Julia Giebel. Bene l’Oratore gli Armigeri, le tre Dame (tutti del progetto Fabrica per giovani artisti dell’Opera) e i tre genietti. Bene il coro. Bene in generale l’orchestra, ma non si possono tacere passaggi un po’ pesanti o imprecisi.

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