La Repubblica Ceca (e Mozart) per il Festival delle Nazioni

Tre dense giornate musicali al Festival delle Nazioni di Città di Castello, tra capolavori famosissimi e  preziose rarità

 

Festival delle Nazioni - Auseri Musici (foto di Monica Ramaccioni)
Auseri Musici (foto di Monica Ramaccioni)
Recensione
classica
Città di Castello
Festival delle Nazioni 2018: omaggio alla Repubblica Ceca
02 Settembre 2018 - 03 Settembre 2018

Dopo l’inaugurazione dedicata all’anniversario rossiniano, il 51° Festival delle Nazioni di Città di Castello ha iniziato il viaggio nella musica della Repubblica Ceca, la nazione cui è dedicata questa edizione, toccando intanto altri generi e altri repertori (QUI la recensione di Giorgio Cerasoli).

Alcuni appuntamenti erano dedicati anche a Mozart e non erano affatto delle divagazioni, poiché Mozart a Praga si sentiva a casa sua più che a Salisburgo e Vienna e a Praga sono nati alcuni dei suoi capolavori. Si è eseguito il Requiem, che in realtà non è stato scritto a Praga; ma è facile capire che è stato scelto perché è l’ultima opera di Mozart – e quindi in qualche modo la summa della sua arte – e perché esercita un richiamo irresistibile sugli ascoltatori, come si è verificato ancora  una volta, tanto che si è aperta al pubblico la prova pomeridiana, poiché il concerto serale era già tutto esaurito, nonostante la vastità della chiesa di San Domenico che lo ospitava.

Festival delle Nazioni - Requiem (foto di Monica Ramaccioni)
Il Requiem di Mozart (foto di Monica Ramaccioni)

Dopo averlo ascoltato tante volte in sala da concerto e con cori professionali, ascoltarlo in chiesa e con un coro amatoriale ha dato sensazioni ed emozioni nuove e particolari: non lo si percepiva più come un pezzo da museo da ammirare a rispettosa distanza ma come una musica viva e vicina a noi, resa più umana dall’approccio sincero, immediato ed entusiasta degli esecutori. Naturalmente per ottenere questo effetto, il coro deve essere formato sì da dilettanti ma ben preparati, come nel caso della Corale “Marietta Alboni”, istruita dal suo maestro Marcello Marini. Il direttore Aldo Sisillo gli ha dato i giusti input quanto a stile, colori ed espressione e ha ottenuto un buon bilanciamento con un’orchestra professionale come I Virtuosi Italiani. I quattro giovani cantanti solisti, perfezionatisi nei corsi tenuti da Mirella Freni presso il teatro Comunale di Modena, hanno fatto il loro dovere.

Il concerto pomeridiano del giorno seguente – dedicato a quattro compositori cechi della seconda metà del Settecento – è iniziato nell’oratorio di San Crescentino a Morra, sotto gli affreschi di Luca Signorelli, ma è proseguito all’aria aperta sul prato antistante, a causa di un guasto all’impianto di illuminazione: questo piccolo incidente è stato in realtà propizio, perché ha fatto ascoltare le musiche di Stamic, Benda, Myslivecek e Jirovec, in cui il flauto era il protagonista, in un ambiente bucolico che gli si confaceva. Ai loro tempi questi quattro compositori cechi erano famosi in tutta l’Europa ma ora sono semidimenticati, quindi non dovete vergognarvi se fate confusione tra i vari membri delle famiglie Stamic (o Stamitz) e Benda o se di primo acchito non siete in grado di distinguere la musica di Karel Stamic da quella di Frantisek Benda. La realtà è che tutti questi musicisti si assomigliano molto, perché aderivano a uno stile che mirava a regolarità, simmetria, chiarezza e semplicità, per cui l’originalità era considerata non un sintomo di genio ma un disdicevole colpo di testa. Ciò non toglie che la loro personalità faccia in qualche modo capolino, come nel caso di Frantisek Benda, di cui si sono ascoltate due Sonate entrambe in tonalità minore, una rarità nell’ambito dello stile “galante”. Questo carattere lievemente ombroso e riflessivo trapelava anche da indicazioni di tempo sfumate e quasi esitanti, come “Largo, ma un poco andante” oppure “Arioso, ma un poco allegro”, con quei “ma” e “un poco” che suonano brahmsiani ante litteram. Invece Josef Mislivecek, che divenne famoso in Italia come operista e italianizzò il suo cognome in Venatorini, mostra la sua natura di compositore di opere nella delicata melodia di carattere vocale del Larghetto della Sonata n. 2 per flauto, violino e violoncello. E l’operista si rivela anche nel Minuetto, che sembrerebbe l’aria di una servetta astuta da opera buffa. Vojetch Matyas Jirovec era il più giovane dei quattro e il suo Trio in re maggiore rivela che era contiguo a Haydn (al quale fu attribuita una sua sinfonia) e a Mozart (di cui fu amico). Limpide e luminose le esecuzioni degli Auser Musici, con il loro fondatore Carlo Ipata al flauto.

Festival delle Nazioni - Auseri Musici (foto di Monica Ramaccioni)
Auseri Musici (foto di Monica Ramaccioni)

Il giorno dopo si passava al secolo successivo e a Smetana e Dvořák, i più famosi rappresentanti della scuola nazionale ceca e i più noti compositori cechi in assoluto. In programma due dei loro maggiori capolavori, il primo Quartetto di Smetana e il dodicesimo di Dvořák, intitolati rispettivamente “Dalla mia vita” e “Americano”. Nel ripensare ai quattro momenti principali della sua vita, Smetana li raffigura musicalmente attingendo sia alla allora inaggirabile scuola strumentale tedesca sia alla musica popolare ceca, mentre Dvořák, che scrisse il suo quartetto solo pochi anni dopo ma apparteneva già a un’altra generazione, lo imbeve completamente di  musica popolare, sebbene liberamente modificata o totalmente reinventata: il suo amore per la spontaneità della musica popolare non era però riservato a quella della sua patria e si estendeva a tutta la musica etnica, anche quella da lui scoperta durante la sua permanenza nel Nuovo Mondo, fosse dei nativi e degli schiavi africani o dei coloni europei.

Il concerto si era aperto con Josef Suk, il maggior rappresentante della terza e ultima generazione di musicisti “nazionali” cechi, non molto noto in Italia, a differenza che nella sua patria. Si è ascoltata la sua Meditazione sull’antico corale ceco “San Venceslao”, considerato quasi un inno nazionale nel periodo della dominazione austriaca: dapprima l’inno viene esposto in un’atmosfera sacrale, raccolta e meditativa, raggiungendo poi gradualmente momenti di tesa e forte drammaticità. Composto nel 1914, l’anno dell’inizio della Grande Guerra, sembra un invito a raccogliere le forze per l’ultima lotta per la libertà della patria: molto intenso e suggestivo, a patto che sia chiaro che tutto ciò si riferisce alla situazione di oltre un secolo fa e che non ha nulla a che vedere con gli attuali rigurgiti nazionalistici, ridicoli e allo stesso tempo pericolosi. Il berlinese Athenäum Quartett ha dato una bella interpretazione di queste tre opere, intensa e robusta, riuscendo ad aver ragione di uno spazio in teoria poco adatto alla musica da camera qual è la vastissima chiesa di San Domenico.

Festival delle Nazioni - Athenaeum Quartet (foto di Monica Ramaccioni)
Athenaeum Quartet (foto di Monica Ramaccioni)

Nel pomeriggio dello stesso giorno si era svolto il concerto finale del Concorso “Alberto Burri” per gruppi giovanili di musica da camera. È risultato vincitore il Caravaggio Piano Quartet, formato da tre italiani e uno spagnolo, che si sono messi insieme alla fine del 2017, ottenendo già un ottimo livello in così poco tempo: la loro giovanissima età fa sperare nel raggiungimento di grandi traguardi. Rincuorante la buona qualità di tutti i partecipanti al concorso, tra cui merita una segnalazione almeno il duo Grittani – Zaccaria (flauto e pianoforte), che ha presentato un programma di alto virtuosismo, eseguito con una precisione e una sicurezza rare.

Caravaggio Quartet (foto di Monica Ramaccioni)
Caravaggio Quartet (foto di Monica Ramaccioni)

 

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