Il Barbiere elegante e all’antica di Pizzi
ROF: Dopo tantissime altre opere di Rossini, Pizzi ha messo nel suo curriculum anche il titolo più popolare del pesarese
Come è Il Barbiere di Siviglia – il suo primo Barbiere! – messo in scena da Pier Luigi Pizzi alla bella età di ottantotto anni? Ovviamente scene e costumi sono molto eleganti. Siviglia è totalmente bianca, costruita con pochi elementi scenici che si compongono in maniera diversa per formare i vari ambienti: la piccola piazza del primo quadro si trasforma con un piccolo prodigio scenotecnico nel patio della casa di Don Bartolo, ombreggiato da un grande telo steso da un muro all’altro. Poi il patio si trasforma in una stanza e così via. I costumi sono bianchi e neri, con le poche macchie colorate del mantello rosso del Conte, di alcuni degli abiti di Rosina e del grembiule di Berta, che è viola, alla faccia delle superstizioni teatrali che bandiscono questo colore. Tutto è di indefettibile buon gusto, limpido, essenziale, privo di fronzoli.
La regia invece è scatenata. Si direbbe che Pizzi abbia voluto tessere l’elogio dei vecchi Barbieri, riprendendo molte gag tradizionali e inventandone di nuove. Bartolo ha la erre arrotata, Basilio è leggermente balbuziente, il finto Alonso ha la esse sibilante. Il Conte nel suo travestimento come Alonso si trasforma in nano, camminando sulle ginocchia, come l’indimenticabile – per chi ha una certa età - Bice Valori nel Giornalino di Gian Burrasca televisivo. Poi c’è il tormentone degli starnuti di Berta e Ambrogio. E via seguitando. Ma questo recupero di un tipo di comicità appartenente al passato non è affatto greve, è realizzato anch’esso con buon gusto. È una comicità talvolta caricata ma mai (o quasi mai) gratuita, perché agganciata alla musica di Rossini e al libretto di Sterbini, uno dei migliori i tutta l’opera comica italiana, che ha tutto da guadagnare quando viene eseguito quasi integralmente, come questa volta, riaprendo molti tagli nei recitativi. Così il Barbiere ritorna ad essere vulcanico come dovette apparire ai primi stupefatti spettatori, abituati alla grazia di Paisiello.
Anche la direzione di Yves Abel è vulcanica ma con gusto e stile: tempi veloci e travolgenti, colori brillanti, dinamiche generose nei crescendo. Il giovane Davide Luciano si presenta subito con una cavatina brillantissima, tratteggiando un Figaro esuberante e simpatico, e prosegue ancora meglio. Come attore è istrionico quanto basta, come cantante gli riesce tutto facile. Maxim Mironov ha voce d’incontaminata purezza, ottima tecnica, stile impeccabile. Per di più ha la bella presenza e la nobiltà d’aspetto che si attagliano al Conte d’Almaviva e all’occorrenza – per esempio quando compare travestito da Don Alonso - è un attore spigliato e molto simpatico. Se proprio gli si vuole trovare un difetto, nella Serenata il timbro è un po’ freddo e metallico, ma poi progressivamente si scalda, fino a cantare la temibile aria “Cessa di più resistere” con facilità sconcertante. I due veterani Pietro Spagnoli e Michele Pertusi hanno classe da vendere e sono un Bartolo e un Basilio ancora oggi impagabili. L’intramontabile Elena Zilio è tornata al ROF dopo trentotto anni per regalare al pubblico un prezioso cammeo come Berta, facendo dimenticare i segni inevitabilmente lasciati dagli anni sulla sua voce. Bene anche William Corrò, che non solo è Fiorello e un Ufficiale ma si assume anche il ruolo muto di un violoncellista che accompagna Rosina nell’aria della lezione, una divertente invenzione di Pizzi. E non si può non citare il bravissimo mimo Armando De Ceccon come Ambrogio.
Abbiamo lasciato per ultima Aya Wakizono, perché nel suo caso bisogna fare qualche distinguo. Rispetto alla Pietra del paragone dello scorso anno è molto migliorata, ma come interprete resta un po’ pallida. La voce è piccola ma graziosa e la tecnica discreta, però per un personaggio come Rosina ci vorrebbe qualcosa di più, a cominciare da una personalità più marcata. Forse per aiutarla, ma ottenendo in realtà il risultato opposto, Pizzi le cuce addosso tutta una serie di sorrisi e mossette che lei esegue diligentemente ma che si attaglierebbero alle graziose e affettate protagoniste delle opere comiche del Settecento più che a Rosina, che è già una donna dei tempi nuovi.
La Sinfonica Nazionale della Rai assicurava il livello orchestrale degno di un festival internazionale e il Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno, preparato da Giovanni Farina, confermava una qualità veramente eccezionale per un piccolo teatro di provincia.
Successo calorosissimo, con l’indice dell’applausometro che saliva ad ognuno dei frequenti applausi a scena aperta.
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