L’incontro come momento creativo: la We Insist! Records

Nino Locatelli racconta la filosofia della nuova etichetta: condivisione umana a 360°, attenzione al suono e all'oggetto-disco

We Insist!
Pipeline Trio
Articolo
jazz

Un’etichetta discografica nasce per molti motivi. Può nascere per intuizione imprenditoriale (non fruttuosissima negli ultimi anni, ma tant’è), per necessità autoproduttiva, per follia e visione, per follia senza visione (capita anche questo, eh…), per caso…

Dalla comunità umana, dalla condivisione, nasce invece il progetto We Insist! (weinsistrecords.com), etichetta fondata da Maria Borghi e che si pone l’obiettivo di documentare – in modo articolato, come vedremo – il lavoro di alcuni artisti che si conoscono da tempo, in primis il clarinettista Giancarlo Nino Locatelli e il batterista Cristiano Calcagnile, titolari delle prime due uscite, Us e St()ma.

Due lavori di grande intensità, da ascoltare con grande attenzione, perché riservano molte sorprese.

Progetto multidisciplinare (fotografia, video, grafica entrano a far parte attiva delle produzioni) che si riallaccia chiaramente al titolo di uno storico disco di Max Roach, We Insist! in qualche modo punta a svincolarsi dagli accelerazionismi di produzione e fruizione per riportare l’attenzione all’ascolto e al processo di condivisione della creazione sonora. Ne abbiamo parlato proprio con Nino Locatelli.

Nino Locatelli
Nino Locatelli

Inizierei la nostra chiacchierata chiedendoti come nasce l’idea dell’etichetta, quali sono state le fasi del progetto e la filosofia alla base del progetto stesso.

«La We Insist! nasce dall’incontro. Fra persone, interessi, linguaggi, generi musicali. Con Maria Borghi, titolare della We Insist!, abbiamo cominciato a parlare di dar vita a una nuova etichetta alla fine del 2012. Oltre che imprenditrice (è titolare della Maobi-duplicazione cd e dvd), Maria è illustratrice e grafica, ma anche musicista. Come flautista partecipa a Il Resto del Gruppo, un laboratorio di soundpainting che dirigo da più di dieci anni nel quale suonano anche Gianmaria Aprile, chitarrista, tecnico del suono, stampatore, produttore discografico (Fratto9) e Pietro Bologna, fotografo e clarinettista. La We Insist! ha preso forma dalle chiacchiere, dalle visioni e dalla pazienza di queste quattro persone. Nasce come gruppo».

«La We Insist! nasce dall’incontro. Fra persone, interessi, linguaggi, generi musicali».

«Il comune interesse per la musica d’improvvisazione e le arti visive ci ha portati a concretizzare l’idea di un’etichetta che avesse alla base un’attenzione ad ogni aspetto della produzione. Ma soprattutto ci siamo subito riconosciuti fuori dalle logiche di mercato, dalla fretta del fare occasionale, dal “tutto e subito”.

Nel presentare l’etichetta, il cui richiamo al We Insist! di Max Roach è evidente, si parla di una resistenza in tempo di crisi discografica e di un andare controcorrente. L’idea di puntare su vinile, su un packaging speciale, che tipo di pubblico nuovo vorrebbe incontrare nelle vostre intenzioni?

«Certo, insistere è già un resistere. L’andare controcorrente si riferisce al fatto che più che un pubblico nuovo cerchiamo di far notare cose “vecchie” al nuovo pubblico. E di ricordarle a quello “vecchio”. L’ascolto non può essere distratto ed esclusivamente tramite file leggeri come gli mp3. Il suono è troppo importante e i musicisti spendono la loro vita per indagare, sviluppare, approfondire il proprio suono e il suono di un gruppo, e file a bassa definizione non rendono che la cornice della musica; così, spesso, la sostanza, se c’è, scompare. Inoltre chi s’interessa d’arte e di fotografia il più delle volte crede di non poter capire certa musica. E d’altro canto chi fa musica spesso ritiene di poter fare a meno di interessarsi d’altro. Apprezzare il “nuovo” o “l’altro” a mio avviso è solo una questione di tempo, di opportunità e di frequentazione. Per noi tutto è correlato. Cerchiamo di fare avvicinare mondi paralleli affiancandone e documentandone le profondità. Il riferimento allo scavare di Monk non è casuale. La musica non ha bisogno di spiegazioni, basta dedicarle tempo. Allo stesso modo però ci piace regalare in prima persona considerazioni sul nostro lavoro e corredarlo d’interventi esterni di persone preparate che a loro volta hanno dedicato tempo all’ascolto, all’osservazione. Vedo la We Insist! come un piccolo processo culturale, sociale e quindi politico. Max Roach docet».

«Riguardo al packaging l’etichetta non pubblicherà solo cofanetti. Queste due prime uscite per loro natura avevano bisogno di un oggetto che contenesse un cd (o dvd), un lp, immagini fotografiche e gli interventi scritti. Già dei prossimi due numeri verranno stampati sia cd che lp, ma come oggetti separati. Non vogliamo essere legati a un format. Faremo soltanto il necessario, quello che serve».

Come vengono scelte le progettualità da produrre e come è suddiviso il lavoro, la costruzione di un cofanetto?

«Le uscite di quest’anno sono la diretta conseguenza della volontà di Maria di sostenere la mia musica, ma anche del tempo che abbiamo impiegato a definire il tutto. Nel corso di questi anni si sono accumulate registrazioni per me, noi, importanti. Usciranno infatti in autunno altri due miei lavori, dedicati entrambi alla musica di Steve Lacy: uno in solo (Situations) e l’altro con un ottetto (Prayer) nel quale suonano sia Cristiano e che Gianmaria. Per quanto riguarda le uscite dei prossimi due anni ho già fatto delle proposte di massima che verranno discusse assieme. Nella costruzione di un lavoro dopo aver raccolto i materiali e i suggerimenti del titolare, Maria si occupa di tutta la parte grafica e Gianmaria delle questioni audio, coadiuvati rispettivamente da Pietro e da me. Devo però aggiungere che c’è uno scambio continuo e un confronto permanente su tutto».

In quante copie vengono stampati i lavori? E che tipo di comunicazione/distribuzione avete pensato?

«I lavori vengono stampati in 300 copie, alle quali si affianca altro materiale per la promozione. La comunicazione è affidata a Guido Gaito e la distribuzione, da sempre l’anello problematico per le piccole realtà, a Soundohm che fa un lavoro prezioso, ma non è un vero distributore. I lavori possono però essere acquistati direttamente dal sito o su Bandcamp».

Il primo lavoro a tuo nome, Us, comprende un vinile in trio, un cd in quintetto, otto immagini fotografiche esclusive e un ricco booklet con un testo di Francesco Martinelli. Ci parli brevemente delle coordinate espressive del progetto Pipeline?

«Pipeline segna per me un momento particolare, il ritorno dopo circa dieci anni di musica improvvisata a materiale scritto. Un ritorno però alla luce degli anni trascorsi a cogliere improvvisando l’unicità dell’istante. Come scrivo nelle note di copertina, «la partitura del pezzo non veniva loro consegnata ma il brano era da me ripetutamente suonato lasciandoli liberi di improvvisare e costruire lentamente una rete di possibilità attorno alla melodia principale. Melodia che a sua volta veniva da me modificata seguendo le “sponde”, le “contromelodie”, le “voci” e gli “strati” da loro proposti. I termini sponde, contromelodie, voci e strati indicano anche le caratteristiche della musica che andiamo scoprendo: una musica fatta di percorsi che a volte coincidono, a volte sono paralleli ma talvolta anche opposti e distanti, polifonica, a più voci e dove possono convivere strati sonori molto lontani fra loro. Immersi in un’indipendente dipendenza, e viceversa».

«Us è stato registrato nel 2011 e il progetto Pipeline si è nel tempo definito come un gruppo dall’organico variabile ma nel quale tale pratica è stata approfondita e caratterizza anche progetti più arrangiati come Prayer, ad esempio. I musicisti che nei temi hanno parti precise possono ogni volta reinterpretarle e c’è sempre qualcuno libero di interagire con esse. Nelle parti improvvisate nulla è deciso a priori, il percorso si scopre strada facendo. A tale proposito il lavoro di Pietro Bologna che ha fotografato durante la registrazione fa da contraltare visivo al nostro modo di procedere. Gli scatti, con esposizioni della durata di ogni singolo brano, fissano in modo nitido gli oggetti e raccontano il movimento dei corpi che si muovono. Anche qui il risultato è la scoperta di qualcosa che non si conosceva, come nella musica del gruppo».

Le prime due uscite sono a nome tuo e di Cristiano Calcagnile, vi conoscete da tempo, appartenete a una determinata area geografica e stilistica, collaborate assieme in diversi progetti. C’è spazio nel futuro dell’etichetta per la valutazione di progetti che vengano anche da artisti con cui non c’è ancora questo tipo di condivisione umana a 360°?

«Mi piace molto questa tua definizione riguardo alla condivisione umana a 360°. La We Insist! parte proprio da lì. Dallo scoprire una serie di affinità e condivisioni di pensiero. Scoperte alle quali si arriva col tempo, mettendo cura in quello che si fa e nei rapporti con gli altri. Il contributo di Cristiano non riguarda solo St()ma. Ha infatti partecipato ad alcune riunioni dell’etichetta e stiamo cercando di definire insieme i particolari per fare delle presentazioni pubbliche. Per un paio d’anni le pubblicazioni documenteranno soprattutto i lavori e la ricerca dei musicisti che ruotano attorno a questo nucleo, che peraltro ha già attivi contatti con altre realtà nazionali e internazionali. È chiaro che non possiamo sapere cosa succederà andando avanti. Se tutto dovesse procedere come speriamo e la We Insist! arrivasse a poter pubblicare annualmente più lavori ci piacerebbe molto allargare la cerchia a musicisti che già conosciamo e che a nostro vedere stanno scavando (magari in direzioni diverse dalle nostre), così come ad incontrarne di nuovi».

Pipeline

Quali saranno i prossimi lavori? Puoi anticiparci qualcosa?

«I quattro titoli dell’anno prossimo dovrebbero essere due lavori di Andrea Grossi, Blend 3 e Blend Orchestra, un solo di Gabriele Mitelli registrato dal vivo a Parma e un solo di Alberto Braida. Ma come sempre le cose possono cambiare».

Quali gli auspici e il messaggio sintetico che ti senti di dare all’inizio di questa avventura?

«Partire dal piccolo, dal vicino per arrivare lontano. Chiedendo tempo e cura a chi la musica la fa e a chi l’ascolta».

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