Come ogni anno il Festival di musica antica di Innsbruck (Innsbrucker Festwochen der Alten Musik) prima di entrare nel vivo della sua programmazione del mese di agosto, inizierà con il preludio di alcuni concerti nel Castello di Ambras, ricordando così il nucleo dal quale si è sviluppato il progetto di questa manifestazione che si svolge nel cuore del Tirolo austriaco.
Dal 17 luglio per tre martedì si ascolteranno raffinate musiche da camera, e poi dal 2 agosto nell’elenco degli eventi che si svolgeranno quasi quotidianamente risaltano due opere, una serenata e un oratorio. Il titolo Bewegte Welten (Mondi in movimento) della presente edizione è ispirato sia all’arco temporale di cinque secoli abbracciato dalle musiche in programma, che dalla presenza di opere legate a Venezia, a Napoli e a Torino, quest’ultima di epoca romantica, in una ideale staffetta tra concezioni diverse della tradizione del teatro musicale italiano.
La più antica, Gli amori di Apollo e Dafne di Francesco Cavalli su libretto di Busenello che andò in scena a Venezia nel Teatro San Cassiano nel 1640, sarà interpretata da Giulia Bolcato e da Sara Maria Saalmann nei ruoli dei due protagonisti, con l’orchestra Accademia la Chimera diretta da Massimiliano Toni.
Il soprano Giulia Bolcato si era classificata al terzo posto nella Cesti Competition dello scorso anno, e il concorso vocale di questa edizione si svolgerà dal 20 al 24 agosto durante il Festival che si concluderà il 27 agosto.
Nel suo programma è presente anche l’oratorio di Alessandro Scarlatti che racconta la storia biblica di Davide e Golia, Davidis pugna et victoria, il dramma sacro rappresentato nell’oratorio della Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso nella Quaresima del 1700 a Roma, ma probabilmente scritto in precedenza per via di alcune analogie con lo stile di Carissimi e di Stradella, che l’orchestra Academia Montis Regalis aveva già eseguito in passato e registrato nel 2008 per la Hyperion.
Il Settecento sarà rappresentato da La Semele, la serenata di Adolf Hasse che venne eseguita a Napoli nel 1726, che sarà eseguita per la prima volta in epoca moderna dall’orchestra Le Musiche Nove, diretta da Claudio Osele con le voci di Francesca Aspromonte, Roberta Invernizzi e Sonia Prina.
Ma per la prima volta nel programma del Festival figura un’opera del primo Ottocento. Si tratta della Didone abbandonata di Saverio Mercadante, su libretto di Metastasio revisionato da Andrea Leone Tottola, che debuttò al Regio di Torino nel 1823. Il cast dei suoi interpreti è composto da Viktorija Miškūnaité (Didone), Katrin Wundsam (Enea), Carlo Allemano (Jarba), Pietro Di Bianco (Osmida), Diego Godoy (Araspe) ed Emilie Renard (Selene), e dalla orchestra Academia Montis Regalis diretta da Alessandro De Marchi, che da anni è il direttore artistico del Festival, e che ci ha raccontato le opere che sono al centro del programma.
«Presenteremo tre produzioni operistiche. La più impegnativa è la Didone di Mercadante che debuttò a Torino nel 1823. Appartiene ad un repertorio molto interessante, anche se si tratta di un compositore che si esegue di rado, e rappresenta un periodo della storia della musica italiana nella quale si prendevano i libretti di Metastasio e si adattavano alle nuove strutture e alle nuove esigenze del pubblico: si utilizzavano i recitativi trasformandoli in duetti, terzetti, e così via poiché l'opera aveva bisogno di molti pezzi di insieme e di finali lunghi a fine atto, e si adattavano questi libretti di grande qualità per adeguarli allo spirito dell'epoca».
«Per la prima volta nel programma ci sarà un opera di belcanto, anche se ovviamente utilizzeremo gli strumenti storici, ed è inedita poiché è la prima esecuzione in epoca moderna. Paolo Cascio ne ha curato l’edizione critica, ma va detto che nonostante sia un’opera del primo Ottocento e l’edizione sia assolutamente fedele all’autografo dunque possiamo parlare di urtext, tutto quello che è scritto in partitura non basta e bisogna fare delle scelte per quello che riguarda la divisione del testo, le alterazioni e non ultima l’ornamentazione, aspetto che anche nell’Ottocento era molto importante. Per fortuna Cascio ha trovato un documento molto importante e utile. Poiché si tratta di un’opera che ebbe molto successo, venne realizzata una versione per solo pianoforte e dunque destinata ai dilettanti che volevano riascoltare le melodie delle sue arie. Questa versione è molto interessante perché è esattamente l’inverso di quello che accadeva per le trascrizioni operistiche ottocentesche destinate a esaltare il virtuosismo strumentale. In questo caso si tratta di una trascrizione d’epoca nella quale è stato integrato ciò che un cantante esperto aggiungeva variando e modificando la musica originale. In altre parole si tratta di un documento importantissimo perché consente per tutta l’opera di conoscere le cadenze, le variazioni e le cosiddette “puntature”, che sono le modifiche che i cantanti operavano sulla parte originale necessarie per adattarla alla propria voce. È una finestra aperta sullo stile del tempo e ci sono degli abbellimenti meravigliosi. Ad esempio quando ascoltiamo la musica di Chopin nel modo di variare e abbellire le melodie possiamo percepire l’ispirazione che proviene dalla tradizione del belcanto italiano. Grazie a questo documento possiamo invece fare il percorso inverso, riportando dallo strumento alla voce quegli svolazzi intonati dai cantanti all’epoca di Mercadante. Mi sembra un’opera molto interessante, ciascuna voce è stata scelta accuratamente in base al proprio ruolo e la regia sarà di Jürgen Flimm».
Tornando indietro nel tempo nel programma c’è una serenata di Hasse.
«Si tratta di una produzione semiscenica, con una regia completa e costumi ma con una scenografia essenziale. È una delle serenate napoletane di Hasse in due atti, con una orchestra d’archi e tre soli personaggi, ed è la sua prima esecuzione in epoca moderna. Claudio Osele, che la dirigerà, ha preparato l’edizione critica».
C’è anche un’opera del Seicento poco nota.
«La terza produzione è dedicata a Cavalli, e mi stupisce il fatto che Gli amori di Apollo e Dafne sia così poco conosciuta, perché secondo me si tratta di una delle più belle opere del Seicento, ma che non mai entrata in repertorio. Forse dipende anche dal fatto che non ha avuto una versione discografica di riferimento, e questo non aiuta i direttori artistici nelle scelte della loro programmazione. Ricordo di averla diretta all'inizio della mia carriera a Fano con la regia di Pizzi, nel contesto del festival diretto da Alberto Zedda, e oggi per dirigerla ho scelto Massimiliano Toni, che la conosce perché all’epoca era il mio assistente. Oltre a essere bravo ha anche buone doti pedagogiche e questo è molto importante per i giovani che prendono parte al progetto Barockoper: Jung. Nel concorso intitolato a Cesti non c’era nessun contralto che ci avesse convinto per poterle affidarle il ruolo di Dafne, e allora abbiamo fatto una cosa che era assolutamente normale all’epoca: abbiamo scelto fra le cantanti quella che era più adatta al ruolo e Massimiliano Toni ha trasposto la parte di Dafne per la sua voce. All’epoca questo era normale. L’urtext è il testo come ce lo tramandano le fonti, ma la prassi esecutiva crea una interpretazione integrandovi molti dettagli. Mi ricordo sempre il manoscritto della Poppea di epoca monteverdiana, con le annotazioni ai suoi margini dalle quali si comprende che ogni volta che cambiava il cast, si aggiustava la tonalità per consentire ai cantanti di dare il meglio».
L’impianto seicentesco lo ritroviamo anche nell’oratorio di Alessandro Scarlatti.
«Si tratta di un oratorio in latino di stile arcaico e di impianto monumentale con doppio coro, solisti e orchestra, per il quale ho deciso di raddoppiare il basso continuo disponendolo in maniera stereofonica. L’esecuzione prevede l’alternanza tra concerto grosso e concertino, ossia il tutti dell’insieme degli archi e i soli dei due violini e basso continuo, perché questa era la logica della scrittura musicale e credo che questa scelta consenta di avvicinarsi al pensiero originale del compositore».
Nel programma c’è un “Concerto mobile”. Di cosa si tratta?
«È un idea che avuto molto successo. Volevamo portare il festival nelle zone periferiche della città, dove le persone ascoltano tutto tranne la musica antica. Così abbiamo ideato un carro, come un piccolo circo con i musicisti sopra, raggiungendo un pubblico diverso da quello che solitamente frequenta il Festival».
Altre proposte interessanti risaltano nel programma del Festival. Tra queste il concerto dedicato a Palestrina che verrà eseguito dal Coro della Radiotelevisione Svizzera diretta da Diego Fasolis; la giornata dedicata ad un viaggio nel mondo del quartetto d’archi realizzato attraverso due concerti dal casalQuartett che suonerà su strumenti originali costruiti dal celebre liutaio tirolese del Seicento Jacobus Stainer; la Misa Criolla di Ariel Ramirez che sarà affiancata da musiche del barocco latino-americano e della tradizione orale nel concerto dell’ensemble La Chimera diretto da Eduardo Egüez; il concerto dedicato a Boccherini della Accademia Ottoboni; e le moresche e le villanelle alla napolitana presentate dall’Ensemble Daedalus diretto da Roberto Festa.
L’attenzione rivolta verso i giovani musicisti, coltivati anche attraverso il vivaio della Cesti Competion, è presente sia in uno dei primi concerti, quello del soprano ungherese Emőke Baráth, che interpreterà cantate e arie legate alla corte romana di Cristina di Svezia accompagnata da Margret Köll, che suonerà su una copia della celebre Arpa Barberini, e da Michele Pasotti al liuto e alla tiorba, sia in quello conclusivo del Festival che è stato affidato all’Ensemble Jupiter e al mezzo-soprano franco-italiano Lea Desandre, che eseguiranno un programma vivaldiano.