Kurt Cobain e il grunge: Storia di una rivoluzione
Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MarTa)
Dall' 8 giugno al 1° luglio 2018
Non sono mancati quelli che hanno colto una qualche ironia, all’annuncio di una retrospettiva fotografica sul grunge in un museo archeologico – il fantastico MArTa , Museo Archeologico di Taranto. Non è in realtà una battuta freschissima: la storicizzazione del grunge – e in generale della musica degli anni Novanta – è oramai vicenda vecchia, in quello strano processo che fa sì che tutto quello che è figlio del secolo scorso sia inevitabilmente meglio della “musica di oggi”.
La mostra Kurt Cobain e il grunge: Storia di una rivoluzione, a cura di ONO arte contemporanea, che ha inaugurato ieri a Taranto nell’ambito del Medimex, è dunque parte di questo mercato della nostalgia? Forse sì, e l’emozione degli operatori musicali di fronte ai 68 scatti di Michal Lavine e Charles Paterson (protagonisti anche di un incontro) era palpabile, come se quelle foto stessero restituendo momenti di un’adolescenza parallela a Seattle, vissuta attraverso i poster delle proprie camerette nella provincia italiana degli anni Novanta.
Del resto il tempo passa, e la giovinezza di molti degli operatori musicali di oggi – molti di quelli che erano ieri al vernissage inaugurale (compreso chi scrive) avevano l’età giusta per sentire veramente il messaggio generazionale del grunge mentre avveniva – è ormai parte di un’era musicale passata.
Michael Lavine e Charles Paterson, sono stati tra i protagonisti di quella scena costruitasi intorno alla Sub Pop, l’hanno seguita fin dagli inizi scattando e – in molti casi – accumulando materiale senza avere la percezione di documentare un passaggio fondamentale della musica del ventesimo secolo: «solo di recente abbiamo aperto i cassetti, ci sono voluti anni per capire cosa c’era dentro quei rullini», hanno raccontato nell’incontro di presentazione. Gli stili dei due sono radicalmente diversi: più pop Lavine, che lavora in studio e avvolge i Nirvana in una luce patinata, in un bianco e nero drammatico o con colori forti, saturati, innaturali; più documentaristico Paterson, che scatta foto ai concerti, con inquadrature eccentriche, o ruba scatti della vita quotidiana dei Cobain con un’intimità speciale che solo una lunga frequentazione può costruire (meravigliose le foto della famiglia al completo, o di Cobain che gioca con la figlia).
In fondo, sono proprio queste le due “anime” del grunge che oggi ne fanno un mito: il fenomeno pop e divistico e la narrazione dell’underground, il mito di Cobain e il suo privato – a sua volta elevato a mito, per quello che è stato l’ultimo eroe drammatico del secolo del rock. Una mostra meravigliosa, a suo modo definitiva, che si sfoglia come un album di famiglia e che veramente riesce a raccontare qualcosa della storia musicale del novecento; e – attraverso questa – anche del nostro, personalissimo, passato.