Due giovani all’Accademia di Santa Cecilia
Edgard Moreau e Jakub Hrůša in Dvořák e Brahms
Due giovani interpreti non proprio da scoprire – entrambi avevano già suonato una volta a Roma – ma da conoscere meglio, testandoli in un repertorio diverso e per certi aspetti più impegnativo. Il violoncellista francese Edgar Moreau, ventiquattro anni appena compiuti, ha eseguito il Concerto op. 104 di Dvořák, il più grandioso e virtuosistico del repertorio per questo strumento, che bisogna saper trattenere al di qua della magniloquenza e dell’effettismo, valorizzandone anche le magnifiche pagine quasi cameristiche. Moreau, che avevamo ascoltato in un programma che si muoveva tra tardo barocco e primo classicismo, ha confermato anche nella musica della fine dell’Ottocento le sue ottime qualità di gusto e sensibilità, unite ad un bel suono, puro e omogeneo in tutti i registri, dimostrando in più di saper dialogare da pari a pari con un’orchestra calorosa ed esuberante come quella di Dvořák senza farsene sommergere. Poi un bel bis bachiano. Indubbiamente è uno dei migliori violoncellisti della giovane generazione, da seguire attentamente.
Sul podio stava Jakub Hrůša, che di anni ne ha trentasette ma, considerando i tempi di maturazione di un direttore, può essere senz’altro considerato un quasi giovane. Essendo ceco, si poteva dare per scontata la sua affinità con Dvořák. Anche nel suo debutto romano si era fatto ascoltare in musica ceca (Ma Vlast di Smetana) ma nella seconda parte di questo concerto è infine uscito dai patri confini con la Prima Sinfonia di Brahms. Ne ha offerto un’esecuzione secondo l’antica scuola tedesca, che sta ora tornando in auge, dopo che per qualche tempo aveva fatto scuola il Brahms intimista e acquarellato di Karajan, testimoniato dalla sua splendida incisione delle quattro Sinfonie del 1964 più che da quella del 1978, che rischia di essere un po’ manierata. Hrůša invece affronta la Prima Sinfonia con piglio drammatico (d’altronde questa è la più drammatica delle quattro: la tonalità stessa di do minoreparla chiaramente) e corrusco, tempi serrati, scarsa propensione per il piano, che diventa quasi un mezzoforte. È un’interpretazione un po’ massiccia, che procede con grandi arcate sonore, lasciando a desiderare in termini di attenzione ai dettagli e di bellezza del suono, ma è indubbiamente energica e trascinante. E infatti trascina il pubblico ad applausi molto calorosi. In definitiva Hrůša, al di là di qualche mia personale riserva, ha fatto ascoltare un Brahms coerente e intenso e ha pienamente convinto il pubblico: meritata dunque la conferma a Santa Cecilia per il prossimo anno.
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