Madrid scopre Die Soldaten

L'opera per la prima volta in Spagna con la regia di Calixto Bieito

Die Soldaten (Foto  Javier del Real | Teatro Real)
Die Soldaten (Foto  Javier del Real | Teatro Real)
Recensione
classica
Teatro Real di Madrid
Die Soldaten 
16 Maggio 2018 - 03 Giugno 2018

Se c’è un’opera che più di ogni altra traduce con lucida determinazione il senso dell’abisso, dell’angoscia di un’umanità senza speranza, questa è sicuramente Die Soldaten di Bernd Alois Zimmermann, andata in scena a Teatro Real di Madrid, per la prima volta in Spagna (mentre qui potete leggere la recensione dell'opera appena andata in scena a Colonia)  in un allestimento firmato Calixto Bieito, creato originariamente per la Opernhaus di Zurigo e la Komische Oper di Berlino.

I fantasmi di un’Europa lacerata da due guerre mondiali trovano qui un compimento completo in un lavoro di rara crudezza, pur con una scrittura profonda e raffinata, in cui passato e presente si incontrano in un vortice di influenze stilistiche: la dodecafonia, un universo di citazioni, il gregoriano, Bach, il jazz, l’elettronica, con una tecnica di collage che anticipa il postmoderno.

La parabola della perdizione di una fanciulla di estrazione piccolo borghese concepita da Jakob Lenz nel clima dello Sturm und Drang, in un lavoro teatrale che ribalta le tradizionali unità di tempo, spazio e azione, nell’opera di Zimmermann si trasforma in una visione disperante e disperata di una realtà senza vie d’uscita e senza prospettive. C’è tutto un Novecento, di quella che potrebbe essere la visione di un Leverkühn: la morte per suicidio, del compositore, cinque anni dopo la prima rappresentazione nel 1965, sta ad indicarci il senso di tragica verità, senza fronzoli e senza infingimenti, che questo lavoro si porta dietro ed emana.

Un’orchestra monumentale disposta su una enorme struttura di impalcature metalliche, sta sul palco a dominare la scena, con gli orchestrali e il direttore - Pablo Heras-Casado - vestiti con la mimetica, mentre sotto, sul proscenio, la vicenda teatrale si dipana, condotta da un secondo direttore - Michael Zlabinger - che, davanti ad un monitor, riprende il gesto di Heras-Casado, a gestire una delle partiture più impervie della letteratura contemporanea; una partitura che Sawallisch a suo tempo considerò ineseguibile. La conduzione del direttore spagnolo è di rara efficacia ed incisività, fin dall’esordio, con quella sorta di ‘muro’ sonoro, marcato ossessivamente dalla percussioni, che è la fragorosa entrata dell’orchestra, così nel gestire complesse stratificazioni sonore e nel delineare i tratti più lirici e sentiti di questo lavoro. Beito entra con la mano decisa, come suo costume, ad esasperare i tratti di violenza, sopraffazione, umiliazione sessuale, a far emergere una visone parossistica di un mondo maschile fatto di stupratori e onanisti. Diciamo che riesce nel contempo a delineare tratti di figure simbolicamente caratterizzate - il militare fascista e opportunista, la fanciulla indifesa ma anche frivola, un fidanzato inerme, una madre classista alto borghese - ma anche tratti umani che emergono con complessità di sfaccettature, prima fra tutti la figura di Marie, interpretata mirabilmente da Susanne Elmark: la presenza scenica, l’agilità vocale e la sua duttilità interpretativa fanno emergere i tratti di un personaggio, pieno di contraddizioni, vittima sacrificale di un mondo turpe e spietato; un personaggio che, alla fine, non può non commuovere quando si ritrova, in una disarmante nudità, con il corpo tutto imbrattato di sangue. Così il numerosissimo cast - più di 20 interpreti sulla scena tra protagonisti e comprimari - partecipe di una coinvolgente ed appassionata performance. Un’opera dura, per il soggetto e per le scene violente, con musica ‘contemporanea’, di rara efficacia drammatica e teatrale, che a quanto pare riesce a coinvolgere il pubblico. Nonostante qualche defezione durante l’intervallo, alla fine gli applausi ed i consensi del pubblico della prima sono stati numerosi e sentiti.

 

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