Ad Amburgo per vedere ed ascoltare la Elbphilharmonie 

La NDR Elbphilharmonie e il suo direttore (uscente) Thomas Hengelbrock alla prova di Mahler e Beethoven

Thomas Hengelbrock
ThomasHengelbrock
Recensione
classica
Grosser Saal della Elbphilharmonie
Thomas Hengelbrook e la NDR Elbphilharmonie
04 Maggio 2018

Dal 2017 Amburgo ha il suo nuovo auditorium, la Elbphilharmonie, che è diventata un elemento caratterizzante della skyline della città, posta com’è all’inizio si erge all’imboccatura del porto sull’Elba, il secondo d’Europa. A dire il vero dalla città la si vede lateralmente e non è un gran che, ma, se la si vede risalendo in battello il fiume, è spettacolare ed assomiglia effettivamente a un grande vascello con le vele spiegate, come viene descritta. Dapprima gli amburghesi hanno molto mugugnato, perché i lavori sono durati sette anni di più e i costi sono più che triplicati: qui non ci sono abituati. Ma ora se ne sono follemente innamorati, tutti vogliono vederla e non c’è un posto libero per molti mesi a venire, qualsiasi cosa sia in programma. Credo che questo spieghi perché, durante il concerto cui ho assistito, vari spettatori siano usciti dopo il primo brano in programma: probabilmente non gli importava molto di Mahler né di Beethoven, ma erano lì solo per poter dire di esserci stati. Anche gli applausi dopo il terzo dei Kindertotenlieder di Mahler e dopo il primo movimento dell’Eroica di Beethoven, indicavano chiaramente che tra i pubblico molti erano i curiosi assolutamente nuovi ai concerti classici: bene così e speriamo che ne arrivino sempre di più.

A dire la verità, questa sala non sembra priva di difetti, ma si sa gli architetti moderni... È posta all’ottavo piano, quindi l’afflusso e il deflusso sono lentissimi. I foyer e gli altri ambienti di servizio sono molto scarni e tristanzuoli, nonostante quel che sono costati. Ma quel che veramente conta, cioè la sala, è splendida: gli architetti Herzog & de Meuron si sono ispirati al modello inevitabile della Philharmonie di Scharoun a Berlino, con una pianta ovoidale in cui l’orchestra è collocata al centro, avvolta dal pubblico. Ma hanno sviluppato molto la sala in altezza, cosicché tutti i circa 2.100 spettatori sono piuttosto vicini all’orchestra. L’acustica è veramente ottima, almeno dal posto in cui mi trovavo io, in sesta fila davanti all’orchestra, ma sarei curioso di sentire com’è per chi sta in altro dietro l’orchestra. La cosa che piace di più è il suono caldo e avvolgente, raro nelle sale moderne. Quanto a questo, ad Amburgo avevano già la vecchia Laeiszhalle, con pochi posti in meno e un’acustica meravigliosa. 

Oltre ad ospitare le stagioni delle due principali orchestre sinfoniche della città (la terza è rimasta alla Laeiszhalle) la Elbphilharmonie offre una ricchissima sfilata di solisti, gruppi cameristici e orchestre ospiti. È evidente la volontà di fare di Amburgo - seconda città della Germania per numero di abitanti e prima per reddito pro capite – una potenza anche in campo musicale.

La NDR Sinfonieorchester, l’orchestra della radio della Germania del nord, ha cambiato il suo nome in NDR Elbphilharmonie Orchestrer ed ha anche cambiato pelle, dandosi nuovi e più ambiziosi obiettivi. Era già un’ottima orchestra – cioè un’orchestra tedesca di primo livello, ma non ai livelli superlativi dei Berliner Philharmoniker o della Staatskapelle di Dresda - e ora, riascoltata a un paio di anni di distanza, è apparsa ulteriormente migliorata. Ma forse non basta ancora e si vuole qualcosa di più. Fatto sta che l’attuale direttore musicale Thomas Hengelbrock si è sentito poco gradito e ha dato le sue dimissioni, non senza strascichi polemici.

Proprio Hengelbrock dirigeva il concerto che ho ascoltato nei giorni scorsi, con un programma da far tremare i polsi a chiunque.  Apriva con l’Adagio, unico movimento portato a termine da Mahler per la progettata Sinfonia n. 10. Hengelbrook fa cantare splendidamente la frase iniziale delle viole (morbide, vellutate, ottime) che si propaga poi agli altri archi. Ma la sua interpretazione punta soprattutto sulla serie di clymax catastrofiche, che interrompono a più riprese questo tema ingannevolmente estatico e sereno, culminando nella serie di quegli accordi terribilmente dissonanti di nove note, che ancora oggi suonano molto audaci e che allora dovevano apparire folli: raramente li abbiamo sentiti così stridenti, laceranti, apocalittici. Dopo, nulla può essere più come prima e la melodia iniziale ritorna come disseccata e lentamente si disgrega. Bellissima interpretazione.

Altrettanto bella quella dei Kindertotenlieder, in cui Hengelbrock accompagna con sollecita discrezione Matthias Goerne in una lettura tanto più intensa quanto più intima, quasi cameristica, senza che la drammaticità e la disperazione di quei versi assumano la minima sfumatura teatrale o melodrammatica. Goerne si mantiene sempre sul pianissimo, cantando tutto sul fiato, tranne nei pochi momenti in cui Mahler indica esplicitamente forte. Goerne (e l’acustica) fanno miracoli e quel filo di voce giunge chiarissimo all’ascoltatore.

Conclusione con l’Eroica di Beethoven. Forse qui tornano a galla le origini di Hengelbrock come “barocchista”. Tempi molto veloci, fraseggio nervoso e suono asciutto, a sottolineare che la genialità di questa creazione Beethoven andava a cozzare contro i limiti degli strumentisti dell’epoca e chiedeva loro di superarli. L’Allegro con brio iniziale è velocissimo, sembra veramente  di vedere “il lampo de’ manipoli/ e l’onda dei cavalli”, se ci è consentito di sfruttare ancora una volta l’abusato storia della dedica di questa sinfonia a Bonaparte. La Marcia funebre è meno dolente del solito: una vera marcia militare per un eroe morto in battaglia, in cui il sentimentalismo non è ammesso. La parte centrale in maggiore è solenne, non un compianto funebre, ma un monumento in marmo e bronzo all’eroe. Lo Scherzo, preso anch’esso ad un tempo molto rapido  si collega direttamente al finale, il cui tema viene presentato da Hengelbrock in modo scherzoso, perfino sbarazzino, ma raggiunge poi nel corso delle variazioni anche momenti drammatici ed eroici (anche con un abuso di decibel) che attenuano un po’ lo iato tra questa parte più tradizionale e i primi due movimenti.  

 

 

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