Orlando sulla luna
Al Teatro Malibran un riuscito allestimento dell’opera vivaldiana con la direzione di Diego Fasolis
Arriva da Martina Franca il nuovo Orlando furioso di Antonio Vivaldi che ha concluso per la stagione del Teatro La Fenice una serie di cinque recite, tutte molto frequentate e accolte con grande calore. Non sono poche le novità che accompagnano questa ripresa veneziana, per la quale si è condivisibilmente optato per gli spazi più raccolti del Teatro Malibran che, se premiano sul piano acustico (specie in considerazione di voci piccole nel complesso), sacrificano non poco l’apparato scenico originale, costretto in un palcoscenico meno ampio e profondo di quello del cortile di Palazzo Ducale a Martina Franca. Nuovo è per una buona metà il cast, con le eccezioni di Sonia Prina, che in Orlando conferma le doti da vera mattatrice del barocco musicale, soprattutto nella sempre sorprendente lunga scena della follia in un ruolo del quale ormai conosce tutte le pieghe, di Lucia Cirillo, un’Alcina di indubbio fascino anche vocale ma che si vorrebbe più imperiosa e soprattutto furiosa nell’uscita con “Anderò, chiamerò dal profondo”, e di Riccardo Novaro, un Astolfo disegnato con tratti di apprezzabile eleganza. Tutti nuovi invece gli interpreti delle coppie amanti: quella della gelosia folle dell’eroe formata da Francesca Aspromonte, un’Angelica di carattere, e Raffaele Pe, un Medoro fin troppo esuberante e focoso, e quella dell’incapricciamento della maga formata da Carlo Vistoli, un Ruggiero dai tratti nobilmente espressivi, e Loriana Castellano, una Bradamante amante poco guerriera. Torna anche l’esperto direttore Diego Fasolis senza tuttavia i suoi Barocchisti rimpiazzati per l’occasione dagli strumentisti dell’Orchestra del Teatro La Fenice con innesti di strumentario barocchista. Il consueto compromesso nei teatri “generalisti” fra strumenti moderni e prassi storicamente informata produce scintille sul piano espressivo grazie al formidabile lavoro di Fasolis (e all’entusiasmo che riesce a trasmettere all’orchestra), gran conoscitore dell’estetica vivaldiana ma anche attentissimo agli effetti e alla varietà degli affetti.
Se si respira teatro vero in questo Orlando è soprattutto grazie alla sua direzione, più che alle belle ma anodine immagini assemblate dal regista Fabio Ceresa per qualcosa che non si allontana troppo dal consueto concerto in costume (la ripresa veneziana è curata dal coreografo Riccardo Oliver). Il dispositivo scenico concepito da Massimo Checchetto, pur costretto in spazi ristretti, serve bene l’immaginario ariostesco con quella grande luna scalata da Orlando nella celebre “Nel profondo cieco mondo” che, ruotando, svela nella sua faccia nascosta la conchiglia dorata del regno di Alcina, maga da varieté nella mise tutta lustrini immaginata da Giuseppe Palella. Un po’ invadenti negli spazi del Malibran risultano le presenze dei sei mimi-danzatori di Fattoria Vittadini, che seguono dappresso la maga Alcina con gran movimenti di braccia ma sono più funzionali nei movimenti del gigantesco ippogrifo che porta in scena Ruggiero (ma vuoi mettere i cavalli volanti di Pizzi?) nonché il corpo del gigante proiettato dalla mente folle di Orlando e smembrato dal suo brando.
Gli annuari della Fenice dicono che questo è il settimo Vivaldi nel secondo dopoguerra. Il pubblico numeroso e la reazione calorosa dicono che forse è tempo di un recupero meno sporadico del compositore veneziano nella sua città.
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