Daniele Rustioni, un milanese all’Opéra de Lyon

Dallo scorso autunno direttore principale del secondo teatro di Francia, Daniele Rustioni sarà protagonista del prossimo festival di Lione

Daniele Rustioni (foto di Blandine Soulage)
Daniele Rustioni (foto di Blandine Soulage)
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L’Opéra National di Lione ha conquistato sotto la direzione di Serge Dorny un’eccellente reputazione internazionale, tanto da essere riconosciuta come miglior teatro d'opera del 2017 sia dagli International Opera Awards britannici sia dalla rivista tedesca Opernwelt.

La punta di diamante della sua attività è il festival, che si svolge annualmente tra marzo e aprile e che questa volta sarà interamente dedicato a Giuseppe Verdi… e anche a Daniele Rustioni, che ne sarà il protagonista assoluto, in quanto dirigerà tutte e tre le opere in programma, Attila, Macbeth e Don Carlos.

Il direttore d’orchestra milanese già dal 23 gennaio è impegnato nelle prove, che, come si può immaginare, sono intense e faticose. Ha tuttavia trovato il tempo per una conversazione telefonica, durante la quale il primo argomento è stato la scelta di un programma monografico su Verdi, tutt’altro che scontata per un festival che di norma ha un programma più vario e incentrato su autori meno popolari.

«È stato dopo avermi sentito dirigere Verdi a Milano, Venezia e Berlino e dopo avermi messo alla prova a Lione col Simon Boccanegra che Dorny ha deciso di affidarmi l’incarico di direttore principale del teatro. Poi sono venuti altri autori ed altre opere – La Juive di Halévy, Eine Nacht in Venedig di Strauss, War Requiem di Britten – ma era abbastanza naturale che prima o poi saremmo tornati a Verdi, anche per compensare la sua relativamente scarsa presenza a Lione negli ultimi anni. Però la scelta non è caduta sulle sue opere più note ma su titoli che sono piuttosto rari anche in Italia e rarissimi fuori d’Italia. Tale scelta è stata favorita da una serie di circostanze. Dorny infatti pensava già da tempo alla versione originale del Don Carlos, quella parigina del 1867, che da allora non è stata più rappresentata in Francia nella sua interezza. Inoltre si è ritenuto giusto riproporre la regia del Macbeth realizzata a Lione nel 2012 da Ivo van Hove, che ha vinto tutti i possibili premi della critica francese. Infine l’Attila fa parte di una collaborazione tra l’Opéra di Lione e il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, che prevede l’esecuzione in forma di concerto di tre opere del giovane Verdi in tre anni: la prima è appunto Attila, cui seguiranno Nabucco nel 2019 ed Ernani nel 2020».

Il potere è un tema molto presente in Verdi ed è il filo che collega le tre opere in programma al festival, che per il resto sono tuttavia molto diverse sul piano sia musicale che drammaturgico.

«Sarà un viaggio molto interessante per il pubblico, che in soli tre giorni potrà sperimentare tutta la gamma dell’arte di Verdi, dal giovanile Attila a un’opera della piena maturità come Don Carlos, passando per il Macbeth, che cronologicamente appartiene al periodo giovanile ma è già un ponte gettato verso il Verdi futuro: lo eseguiremo nella versione più consueta, quella rivista nel 1865 per l’Opéra di Parigi, in cui i due diversi Verdi convivono l’uno accanto all’altro. Proprio Macbeth è forse la più difficile di queste tre opere, perché ha la scrittura "nuda" del primo Verdi e sta agli interpreti far emergere la psicologia dei personaggi. Le altre sono relativamente più facili, sebbene la vocalità sia più sollecitata e impervia nell’Attila, mentre in Don Carlos è la scrittura orchestrale a essere più complessa e ad avviarsi in territori inesplorati: i professori d’orchestra si sono trovati a suonare una musica che appariva loro un po’ strana rispetto al Verdi che conoscevano, con tonalità rare e con alterazioni perfino più inaccessibili che in Wagner».

Daniele Rustioni (foto di Blandine Soulage)
Daniele Rustioni (foto di Blandine Soulage)

Eseguirete il Don Carlos in francese, in cinque atti e con i balletti, secondo la versione originale del 1867. Però quale sia effettivamente la versione originale è un rebus, perché già tra la prova generale e la prima Verdi stesso fece dei tagli e altri cambiamenti furono effettuati durante le repliche. Voi quali scelte avete fatto?

«Siamo partiti dalla prova generale, quindi riapriremo vari tagli: per fare un esempio, dopo la morte di Rodrigo nel quarto atto si ascolterà la melodia che per noi è quella del “Lacrymosa”, ma era stata composta per il compianto di Filippo II davanti al corpo di Rodrigo,  che Verdi poi tagliò e riutilizzò sette anni dopo nella Messa da Requiem. Soprattutto nel primo atto riprenderemo alcuni tagli: talvolta si fa iniziare l’opera dalla scena della caccia, noi invece eseguiremo anche il precedente coro dei boscaioli, che lamentano il freddo e la fame, e poi apriremo il taglio nel duetto in cui Elisabetta e Carlo si incontrano per la prima volta. Quanto al balletto del terzo atto, la questione è spinosa e controversa, e molti lo considerano un corpo estraneo, che ha poco a che fare con la drammaturgia dell’opera, in quanto si svolge in una irreale grotta di madreperla e si conclude con l’esaltazione della corona spagnola e con l’inno spagnolo: abbiamo deciso di tagliare quest’ultima parte. La coreografia sarà in stile moderno e introdurrà dei personaggi che saranno poi gli stessi che verranno condotti al rogo nell’auto da fé, così si crea un collegamento tra il balletto e l’opera».

Fatti tutti i conti, quanto durerà questo Don Carlos?

«Circa quattro ore e un quarto, esclusi gli intervalli. Per gli interpreti è come una montagna da scalare. Eppure io lo trovo meno faticoso del Macbeth, dove la fisicità del direttore è sempre sotto stress, mentre il Don Carlos non è certamente riposante, ma a essere impegnati sono soprattutto la testa e il cuore, meno il corpo, perché ci sono anche momenti in cui il direttore può distendersi e recuperare le forze».

Abbiamo parlato della riapertura dei tagli, che – mi pare di capire – vanno in direzione di una particolare accentuazione del senso malinconico e ombroso del Don Carlos, evidenziando però per contrasto anche le scene più gaie e luminose. Ma un’altra grande differenza è naturalmente data dalla lingua francese.

«Avendolo studiato per un anno col testo francese, se ora sento il Don Carlos nella versione italiana, alcune cose mi suonano strane. La musica è stata scritta sulle parole francesi, che hanno accenti meno marcati e vocali più chiuse, e questo non può non avere un grande peso sull’interpretazione, perché anche a livello psicologico i personaggi appaiono in una luce differente, più sfumata. L’orchestra stessa suona in maniera diversa, perché le note sono le stesse, ma cambia il fraseggio».

Guardiamo ora al futuro. Quando l’ascolteremo dirigere in Italia?

«Sono direttore principale dell’Orchestra della Toscana, perciò nei prossimi anni in Italia mi si ascolterà soprattutto in concerti, sia a Firenze che in tournée. All’estero ho vari impegni operistici, come la Tosca al festival di Aix-en-Provence, dove non è mai stata rappresentata finora. Quanto a Lione, dirigerò Mefistofele per l’inaugurazione della prossima stagione e L’incantatrice di Čajkovskij al festival 2019. In futuro penso di dirigere a Lione anche altre opere russe, Musorgskij in particolare, perché ho fatto molta esperienza in quel repertorio quando sono stato direttore ospite principale al Teatro Michajlovskij di San Pietroburgo, dove ho anche imparato un po’ la lingua  russa. Inoltre c’è un progetto sul Rosenkavalier di Richard Strauss. Credo che un direttore non possa fare tutto allo stesso livello, che debba fare delle scelte ben ponderate e non avere una mania di onnipotenza, ma sposo la linea di varietà nella programmazione portata avanti da Dorny».

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