Il tempo sospeso di Messiaen
Roma: Quatuor pour la fin du Temps per la IUC
Non capita così di frequente di poter ascoltare un programma di così grande bellezza e con un ‘cast’ di interpreti di tale caratura. Intorno a quel capolavoro che è il Quatuor pour la fin du Temps – una delle pagine più toccanti scritte da Olivier Messiaen – Pietro De Maria, Marco Rizzi, Enrico Dindo e Alessandro Carbonare hanno costruito infatti un programma nel quale il compito di precedere il brano di Messiaen è stato affidato a tre gemme della produzione di Claude Debussy. Per De Maria un vero e proprio ‘tour de force’ al fianco di ciascuno degli altri tre musicisti, cosa che gli ha consentito di esprimere una maturità pianistica perfettamente integrata con l’idea cameristica dell’intero concerto. Brillante e geniale la Première Rapsodie presentata in apertura, un lavoro che ha confermato la grande padronanza e duttilità espressiva di un interprete come Alessandro Carbonare, senz’altro uno nei migliori clarinettisti sulla scena internazionale. Grande la sensibilità di Enrico Dindo nella successiva Sonata per violoncello e pianoforte, dove la scrittura del francese svela ancor più una capacità inventiva estremamente ampia, tra ironia e accenti passionali di grande effetto. Nell’ultimo lavoro di Debussy, risalente al più tardo periodo compositivo e completato dopo una non breve gestazione, Enrico Rizzi e Pietro De Maria hanno saputo rendere tutte le complesse geometrie che legano la scrittura del francese sia al repertorio dei grandi connazionali Couperin e Rameau sia alle sperimentazioni timbriche e armoniche di inizio Novecento.
Dopo questa prima parte in cui, grazie alla bravura degli interpreti il tempo è sembrato letteralmente volar via, ecco la seconda parte dedicata proprio alla ‘fine’ di quel tempo. O meglio di ogni tempo, stante la drammatica esperienza che Messiaen fece mentre scriveva il Quatuor, quando (nel 1941) si trovava prigioniero dei tedeschi nel campo di concentramento di Görlitz. Un’esecuzione di livello impeccabile, in grado di sostenere la tensione spirituale che pervade tutta la musica. Partendo infatti dall’immagine (tratta dell’Apocalisse) “dell’angelo che annuncia la fine del tempo”, il musicista francese in realtà si affida a una scrittura che spesso riesce a ‘sospendere’ il tempo dell’ascoltatore, con soluzioni timbriche di grande ricercatezza. Grande duttilità interpretativa dei quattro esecutori, sarebbe ingiusto elogiarli separatamente quando viceversa sono stati testimoni di una felicissima compattezza cameristica, apprezzata particolarmente dal pubblico presente nell’Aula Magna dell’Università. Pubblico particolarmente ampio, in verità il programma presentato non lo lasciava immaginare, ma questo è un segno che per la musica forse non è ancora arrivata la fine del tempo.
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