Nuovissima Consonanza con Sentieri Selvaggi
Al Teatro Argentina di Roma Sentieri Selvaggi con Carlo Boccadoro in un programma "transoceanico"
Proporre la musica contemporanea senza cercare altre mediazioni – o se si vuole scorciatoie, compromessi, contaminazioni, chiamiamoli come preferiamo – se non quella della scelta intelligente del programma e della sacrosanta abitudine a presentare brevemente i brani prima di eseguirli, in modo da dare delle funzionali chiavi di ascolto al pubblico. Aggiungiamo anche una capacità esecutiva di altissimo livello e una prestigiosa cornice come quella del Teatro Argentina. Otteniamo un concerto – quello che ha visto protagonista il gruppo Sentieri Selvaggi diretto da Carlo Boccadoro – che smentisce clamorosamente tutti quei luoghi comuni colpevoli purtroppo di tenere lontana la gran parte degli ascoltatori dalle sale in cui si propone la musica d’oggi, alla quale viene preferita non quella di ieri o l’altro ieri bensì quella scritta cento (magari), duecento o trecento anni or sono (poi meglio fermarsi altrimenti ci si allontana troppo). Senza rendersi conto che quel familiare repertorio – bellissimo certo ma non è questo il punto – potrebbe altresì essere correttamente etichettato tutto come musica antica, indicando finalmente con tale termine non più solo Monteverdi o Bach, ma anche Beethoven, Chopin e Brahms, che di anni sulla schiena ne hanno ormai molti.
Insomma un bell’appuntamento, all’interno del 54° Festival di Nuova Consonanza (dal ricco programma), che pur non avendo chiaramente mobilitato grandi masse di pubblico, ha portato un po’ d’aria fresca in uno dei Teatri più belli della Capitale, con un programma in cui i brani composti nel nuovo millennio erano addirittura in maggioranza. E lo ha fatto in modo appropriato, grazie anche a una accorta amplificazione – irrinunciabile quando gli spazi in gioco e le caratteristiche acustiche sono come quelli dell’Argentina – che poi si è rivelata anche necessaria per poter eseguire lo sfolgorante Double Sextet di Steve Reich, stante la scelta dei sei esecutori – rigorosamente come da suggerimento dell’autore – di suonare dal vivo metà della partitura simultaneamente all’altra metà precedentemente registrata.
Gli altri compositori proposti andavano a delineare le tappe di un immaginario viaggio che si svolgeva tra il mondo musicale americano e quello francese: dall’iniziale Techno Parade di un Guillaume Connesson in piena fase anti-Boulez a Talea dello spettralista Grisey, che ha rappresentato forse l’unico momento realmente in linea con quelle meditazioni cui alludeva il titolo del concerto. Passando per l’interessante Wide Open Spaces del portoricano Armando Bayolo – meriterebbe eseguirlo di più in Italia – e naturalmente Philip Glass, che in Francia studiò con la Boulanger e il cui Wichita Vortex Sutra si è perfettamente inserito nel clima minimalista che ha caratterizzato, e in modo energico, l’intero concerto.
Una serata da ricordare – grazie agli ottimi esecutori e all’infaticabile Carlo Boccadoro – che si è conclusa con un breve bis scritto da David Lang per il ventennale di attività di Sentieri Selvaggi.
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