Compositori in transito per CRESC
Ensemble Modern e hr-Sinfonieorchester animano CRESC..., festival biennale di musica contemporanea a Francoforte e dintorni
A Francoforte e dintorni (le vicine Wiesbaden e Hanau) torna per la quarta volta CRESC… , l’appuntamento biennale con la produzione musicale contemporanea organizzato da Ensemble Modern e hr-Sinfoniorchester con il coinvolgimento di varie istituzioni culturali della territorio. Rispetto alle edizioni passate, dedicate a Iannis Xenakis, Bern Alois Zimmermann e Helmut Lachenmann, l’edizione 2017 mancava quasi di asse monografico, tranne forse che per quella del coreano Isang Yun, comunque non preponderante e confinata ai margini degli appuntamenti maggiori.
Una mancanza di centro che si sposa con la parola chiave di questa edizione: Transit, termine che nella volontà dei curatori riflette le inquietudini e le tensioni di un mondo in tumulto fra rifugiati in fuga da teatri di guerra e viaggi della speranza per sottrarsi a persecuzioni e conflitti religiosi e di ogni sorta. Un tema che è anche una sfida per le scelte del cartellone 2017 non sempre evidenti. Per fugare ogni dubbio, due veri e propri sermoni trovano posto all’interno dei due concerti di apertura del festival: Peter Kujath, già corrispondente dall’Estremo Oriente della radio pubblica ARD, e Christina Weiss, Ministra federale della Cultura fino al 2005 nel governo del Cancelliere Schröder, propongono le loro riflessioni sul senso del termine “transit” e sul senso di appartenenza e di estraneità.
Direttamente ispirato al dramma dei migranti, ma pochissimo abrasivo dal punto di vista politico, è sembrato l’unico titolo del programma del festival, inserito nel programma più che altro per affinità tematica a un mese dalla prima assoluta nell’Hessisches Staatstheater di Wiesbaden, che lo ha commissionato. Non più abrasivo, per dire, del rossiniano Turco in Italia, di cui curiosamente Schönerland di Søren Niels Eichberg con libretto di Therese Schmidt pare una versione aggiornata. Da una parte la massa corale dei migranti, che si esprime di preferenza per proclami, e dall’altra un improbabile trio di compositore, librettista politicamente sensibile (e dunque pensosa) e soprattutto impresario megalomane che dice di voler fare «un’opera che cambia il mondo». Non c’è ovviamente nessun turco in fregola (ci mancherebbe altro!) ma Saida, Dariush, Aliyah, Omid, Kader e un siriano, che raccontano delle loro vite in transito, dell’essere senza patria e dell’estraneità in un mondo che li rifiuta e li ascolta pochissimo. Tema caldo sulla carta ma che nel trattamento musicale fin troppo levigato, e quindi fatalmente artificioso, e nel libretto, che procede troppo spesso per luoghi comuni, non solo non è per nulla scomodo ma, al contrario, finisce per essere rassicurante. Così come lo è lo spettacolo carino allestito da Johanna Wehner, diligente e innocuo, che a tratti fa pensare a un musical un po’ impegnato (ma non troppo). Applausi, bravi tutti, e tutti a casa.
Andato in scena in prima assoluta alla Mousonturm di Francoforte come preludio, anche Hyperion – Higher States, Part 2 non ci è sembrato andare al di là di un accademico esercizio dal segno molto personale del suo ideatore, il coreografo greco Kiriakos Hadjiioannou, con il contributo del collega Fabrice Mazliah, già in forza nel lungo soggiorno creativo a Francoforte di William Forsythe. Delle tensioni rivoluzionarie e utopiche (e frustrazioni depressive) dell’esule volontario Iperione di Hölderlin, dalle quali questo lavoro trae ispirazione, non rimane che l’idea e qualche tirata (riflessione sarebbe esagerato) sulla natura dei quattro danzatori/performer (gli stessi Hadjiioannou e Mazliah con Tamara Bacci e Nancy Stamatopoulou). La Grecia oppressa, allora dal giogo ottomano come oggi da altri gioghi, resta solo come luogo di gestazione di una performance fatta di contributi personali, compresi quello musicale delle “quasi” improvvisazioni sulla scena dei cinque musicisti dell’Ensemble Modern (il violinisti Giorgos Panagiotidis, la violista Megumi Kasakawa , la violoncellista Eva Böcker, il flautista Dietmar Wiesner, il trombettista Sava Stoianov), il cui poco riuscito amalgama lascia l’impressione di un work in progress piuttosto pretenzioso quanto inconcludente più che di un’opera drammaturgicamente compiuta e matura.
Se questa edizione, come detto, era priva di un’identità forte nel cartellone rispetto alle scorse edizioni, non così è stato per la programmazione musicale per la presenza di Ilan Volkov, sul podio di quasi tutti i concerti in cartellone e mente ispiratrice gli appuntamenti del Tectonics Mosaics I e II, spinoff dello spazio dedicato alle avanguardie da territori musicali diversi inventato da Volkov cinque anni fa in Islanda e esportato in Scozia. I due programmi-mosaico messi insieme da Volkov a Wiesbaden presentavano, fra l’altro, un piccolo ma incisivo ritratto delle esperienze sonore nel segno di un minimalismo estremo dell’americano Alvin Lucier, presente con Silver Streetcar for the Orchestra per triangolo solo e A tribute to James Tenney per contrabbasso e formatore d’onda sinusoidale, Nothing is real per pianoforte e teiera (sic!) con contributo di obsoleto registratore di audiocassette e il più classico (per così dire) Step, Slide and Sustain un quasi unisono mosso da increspature microtonali per pianoforte, violoncello e corno.
Il Volkov direttore, invece, apriva il programma ufficiale all’Alte Oper di Francoforte con un concerto, curiosamente disertato dal pubblico locale solitamente attento alla contemporanea, che riuniva sul palco l’Ensemble Modern e la hr-Sinfonieorchester per la prima esecuzione in Germania di Verbinden und Abwenden (Collegare e allontanare) della compositrice turca Zeynep Gedizlioglu, formatasi fra Istanbul, Saarbrücken e Strasburgo (con Ivan Fedele), e quindi perfettamente intonata allo Stimmung di CRESC 2017, e In Situ di Philippe Manoury per solisti e orchestra d’archi con otto gruppi orchestrali, ennesima (e stanca) variazione sul tema della spazialità sonora, ripescato dai Donausechinger Musiktage del 2013.
Decisamente più convincenti i tre pezzi del secondo concerto di Ensemble Modern e hr-Sinfonieorchester nella Sendsaal della Radiotelevisione dell’Assia a Francoforte e ancora con Ilan Volkov sul podio. Apriva, in prima assoluta, la coniugazione contemporanea del concerto per pianoforte e orchestra secondo Martin Grütter. Allheilmittel (Rimedio universale), eseguito in prima assoluta, è un’autentica panacea per la noia composta di molte soirées contemporaines: dinamica travolgente, parossismo sonoro per una vera esplosione di energia musicale nel dialogo fra pianoforte classico, “hyperklavier” (invenzione dello stesso Grütter) e un’orchestra ipertrofica trattata con autentico virtuosismo compositivo. Di ispirazione più classica, ma non meno privo di interesse, anche il pezzo di Martin Matalon Spinning Lines, altra prima assoluta, per clarinetto, corno e violino trattati con folgorante virtuosismo su un travolgente ostinato orchestrale ricco di reminescenze bartókiane. Completava il programma, Take Death (2013) di Bernhard Gander, cresta punk e braccia tatuate come un Fedez d’oltralpe, autore di un curioso e vitalissimo innesto fra i ritmi techno prodotti dalla consolle di un DJ e un ensemble di 20 strumenti animati da una nervatura ritmica presa a prestito dallo Stravinskij della Sacre du Printemps.
Preso atto delle (buone) intenzioni e di presunte prese di posizione sull’attualità olitica, un sicuro risultato dell’edizione 2017 di CRESC è quello di tradurre in maniera molto efficace quel senso di smarrimento attraverso una varietà di proposte musicali che attraversano tempi e generi e, che, proprio in questo, è la sintesi più efficace dei tempi che viviamo.
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