Contro canto. Le culture della protesta dal canto sociale al rap
di Antonio Fanelli
Roma, Donzelli 2017, 218 pp., €25
Per quanto gli scaffali delle librerie siano piene di titoli di musica (con una ricchezza a dire il vero un po’ sospetta, visto il momento non proprio di crescita dell’offerta musicale italiana), di tanto in tanto escono ancora libri che, se non riempiono un vuoto, almeno mostrano una vivacità di sguardo su fenomeni musicali già ampiamente storicizzati e trattati.
Fra questi si deve senz’altro annoverare Contro canto. Le culture della protesta dal canto sociale al rap del giovane antropologo Antonio Fanelli, attivo presso l’Università di Pisa e oggi fra i principali animatore dell’Istituto Ernesto De Martino di Sesto Fiorentino. Di fatto, mancava un lavorio serio e aggiornato sulla canzone di protesta nel nostro paese… Dove con “serio” si intende un lavoro costruito con una ricerca sulle fonti, una metodologia, una bibliografia e uno sguardo da studioso, e con “aggiornato” un lavoro che sappia superare pantani ideologici e visioni del mondo oggi non più efficaci.
Fanelli parte, nella sua indagine sulle “culture della protesta”, dallo spesso dimenticato Spartacus Picenus, capostipite del filone più politico e comunista del canto sociale “d’autore” in Italia, per passare attraverso Antonio Gramsci (figura centrale negli studi sul folklore e sulla popular music allo stesso tempo, e su cui ancora molto bisogna riflettere), Ernesto De Martino, Cantacronache, il Nuovo Canzoniere Italiano, il dibattito sulla cultura popolare come cultura subalterna radicalmente alternativa e “altra” dalla cultura dominante… Fino all’ultimo capitolo, che collega queste esperienze con altre relative soprattutto agli anni Novanta dei Gang, delle posse, dell’hip hop e del reggae.
Contro canto ha diversi meriti: uno è di certo la relativa accessibilità a diversi tipi di lettori, per quanto si tratti di un testo scientifico: sembra banale dirlo, ma serviva un libro che mettesse in ordine i tasselli di una storia troppo spesso raccontata a pezzi, o da punti di vista viziati da personalismi e posizionamenti ideologici.
Un altro merito è quello di non lasciare fuori, infine, gli studi culturali e la popular music, pur agendo da una prospettiva da antropologo: affrontare il repertorio del canto di protesta e il folk revival senza considerare la dimensione del popular – la circolazione mediatica dei canti, la discografia, il ruolo della radio e della televisione – non è, a oggi, più possibile. Anche se costringe, certo, a fare i conti con paradigmi ben consolidati nella visione che l’antropologia ha avuto del famigerato “mondo popolare”, troppo spesso relegato in un “altro” rurale e primitivo, con sue regole speciali. Contro canto si colloca dunque in una nuova linea di studio che – mi pare – sta (fortunatamente) emergendo, fra etnomusicologia, antropologia e studi sulla popular music. Il libro di Fanelli, ad esempio, è in parte debitore in quanto a ricerca e fonti al monumentale La musica folk curato da Goffredo Plastino e uscito nel 2016 per il Saggiatore, che proprio dalla messa in dubbio delle narrazioni principali sul folk revival in Italia muoveva.
La prima parte del libro, in particolare quella relativa agli intellettuali vicini al Nuovo Canzoniere Italiano (Gianni Bosio, Cesare Bermani…) è la più brillante ed efficace per come ricostruisce gli incroci di pensiero e le diverse posizioni critiche e politiche. È del resto proprio quel “particolare connubio fra tradizioni popolari e attivismo politico”, così peculiare della storia italiana, a costituire il centro del libro, e – in fondo – sua ragione di essere: su questo ambito, Contro canto è destinato a essere uno dei testi di riferimento. Meno decisiva è invece l’ultima parte, che si concentra su alcuni casi significativi relativi soprattutto agli anni Novanta, ma non prova a dar conto del “buco” rappresentato dagli anni Ottanta nella storia della canzone politica italiana, e nella riflessione sul politico in musica. Del resto, è quello un periodo con cui anche le discipline storiografiche cominciano a fare i conti solo in tempi recenti: di certo, andrà affrontato anche da quanti si occupano di storia culturale e intellettuale della canzone. A parte questo, Contro canto solleva davvero questioni sul nostro passato musicale che, lungi dall’essere risolte, sono oggi più che mai fondamentali per comprendere tanto la musica, quanto la situazione politica italiana che ci circondano.